I camionisti no, non pagheranno il conto della manovra. Parola di Giancarlo Giorgetti. Ma l’eccezione non scalfisce la regola aurea che proprio il ministro dell’Economia ha elevato ad etichetta della legge di bilancio da 24 miliardi che sta provando a tirare su con gran fatica. E quindi, per usare le parole dello stesso titolare del Tesoro, sacrifici per tutti. Il conto è salato. L’importo preciso sarà definito a fine mese, quando il Dipartimento delle Finanze del Mef conoscerà l’incasso del concordato preventivo biennale, l’accordo tra le partite Iva e l’Agenzia delle Entrate che congela le tasse e i controlli per due anni. Più alto sarà il gettito, anche di altre «maggiori entrate» che non sono state ancora rese note, e minore sarà il contenimento della spesa pubblica. Tasse e tagli: le risorse da recuperare ammontano in tutto a 15 miliardi. Aumenteranno i tagli ai ministeri e le forbici sfoltiranno le agevolazioni fiscali. Ma non basta. Le tasse sono già sul tavolo. Sulla casa: su le rendite catastali delle abitazioni che hanno usufruito del Superbonus. E quindi Imu più salata sulle seconde case. Prime, seconde o terze: bonus ridotti per le ristrutturazioni e quindi costi più elevati per i proprietari. Ma i cittadini dovranno pagare il conto della manovra anche dal benzinaio: le accise sul gasolio aumenteranno di un centesimo all’anno, nei prossimi cinque. E poi ci sono i profitti di banche e aziende. Guai a chiamarli «extra», raccomanda il governo. Ma la precisazione non salva banchieri e imprenditori da un aumento delle tasse: su l’Irap per gli istituti di credito. E un’addizionale Ires, l’imposta sui redditi delle società. A meno che Giorgetti non scelga una via più morbida, quindi un taglio dei benefici fiscali. Ma sempre tasse in più saranno.

Smentite del governo a parte, le parole del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti – “rivedere” le rendite catastali degli immobili oggetto di riqualificazione – si tradurranno nei fatti in maggiori imposte da pagare per i cittadini italiani. È vero che la norma era già stata rafforzata in Legge di Bilancio a fine 2023, ma era anche rimasta lettera morta per mancanza di controlli effettivi. Andando indietro nel tempo, l’obbligo di revisione delle rendite era già previsto dal 2005, quando una circolare aveva chiarito che l’aggiornamento andasse effettuato in caso di modifica nella distribuzione degli spazi o della pianta catastale e più in generale nel caso gli interventi comportassero un incremento del valore di mercato del 15%. L’ultima manovra ha invece imposto all’Agenzia delle Entrate di verificare che sia stata o meno presentata la revisione per gli immobili oggetto di Superbonus, prevedendo sanzioni fino a 8.264 euro. Resta il fatto che alzare le rendite catastali significa in concreto aumentare la base su cui vengono calcolate l’Imu, l’imposta comunale da cui però già da ora sono esentate le prime case, l’imposta di registro che si paga negli atti di compravendita immobiliare e quella di successione in caso di immobili donati o lasciati in eredità. Nel primo caso incassano i Comuni, negli altri due gli introiti finiscono nelle casse dello Stato. Secondo Luca Dondi, consigliere esecutivo di Nomisma ed esperto del mercato immobiliare, le ricadute in termini di gettito sarebbero comunque «ben poca cosa». La stragrande maggioranza degli 1,5-1,6 milioni di alloggi interessati da lavori di Superbonus e che hanno registrato un miglioramento dell’efficienza energetica è composta da prime case e secondo Nomisma si può calcolare che siano il 28% gli alloggi non prima casa che invece con l’aggiornamento dovrebbero pagare di più. Per questi si passerebbe da una tassa media di 1.047 euro annua a 1.337 euro, cioè 290 euro in più, che moltiplicato per il numero degli alloggi interessati significherebbe un aumento di gettito Imu di circa 126 milioni di euro.

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