È stato un incontro interlocutorio quello tra il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli e l’assessore comunale alle Finanze Pier Paolo Baretta. Nella sostanza, l’emendamento per alzare il tetto dei pagamenti ai creditori dei debiti commerciali del Comune va studiato nei dettagli e soprattutto dovrà avere un sostegno del Parlamento. Il salva creditori – che ha ideato l’assessore con il conforto del sindaco Gaetano Manfredi – può essere sostanziato solo con un provvedimento da inserire in un decreto perché si tratta di una modifica alla legge di bilancio nella quale è contenuto il salva Napoli. Che – giova ricordarlo – vale 1,3 miliardi per il Comune. Così Baretta sta pressando quelle forze politiche che hanno sostenuto Palazzo San Giacomo e che hanno prodotto l’emendamento salva Napoli. Cioè Pd, Leu, M5S e Fi. Tuttavia, il clima politico non è più quello in cui è maturato il salva Napoli. Il M5S è nel pieno di una crisi interna di notevoli dimensioni. Il rapporto con il Pd e Leu non è più quello di un paio di mesi fa. E la strada sembra in salita. Da quei partiti dovrebbe arrivare l’input al Governo anche se a Palazzo Chigi stanno valutando bene la questione prima di dare il via libera. Insomma, il nodo non è così semplice da sciogliere pur trattandosi di un emendamento che dovrebbe riguardare solo determinate tipologie di creditori come quelli delle mense scolastiche, dei servizi cimiteriali e i fornitori di progetti. Sullo sfondo – in Comune – a iniziare da Baretta stanno lavorando sodo: entro il 15 febbraio dovrebbero esserci le firme sul salva Napoli di Manfredi e del premier Mario Draghi. Tuttavia non c’è certezza sulla data della firma che potrebbe slittare, ma non di molto. Oggi al riguardo se ne dovrebbe sapere un po’ di più. Un lavoro importante quello da portare a Draghi che Baretta nella sua relazione al Consiglio comunale sintetizzò così: «Le nostre scelte di risanamento e rilancio sono insostenibili senza una partecipazione dello Stato; ma senza la nostra parte il contributo statale verrà inesorabilmente sprecato». Cosa significa? Che il miliardo e 300 milioni a fondo perduto deve restituire almeno un quarto di quella somma come nuove entrate per il Comune. Quindi a Palazzo San Giacomo lavorano su come dimostrare al presidente del Consiglio che Napoli poi saprà camminare da sola e senza contributi straordinari.
Come stanno le cose a oggi? Il debito del Comune complessivamente è di circa 5 miliardi. Il Piano di riequilibrio finanziario pluriennale del Comune risale al 2013, e tuttora impegna l’ente fino al 2049. Era basato su erogazioni a titolo di prestiti con interessi molto salati che ancora oggi ammontano a circa 1 miliardo, a fronte di 1,7 di capitale e di 1,4 di anticipazione di liquidità. «Diversamente – si legge nella relazione dell’assessore – la norma di legge prevede un intervento finanziario rilevante, erogato non sotto forma di prestito, mutuo o anticipazione di liquidità; bensì a fondo perduto». Contributo che per essere sostenibile deve vedere Palazzo San Giacomo rilanciarsi sotto il profilo amministrativo. «Napoli è compressa da una difficile condizione quotidiana, ben rappresentata dalla pesante esposizione finanziaria del Comune che ammonta, al 31 dicembre 2021, a 4 miliardi e 981 milioni. Composta da un disavanzo di 2 miliardi e 175 milioni e da un debito finanziario di 1 miliardi e 752 milioni». Debito figlio anche di un deficit amministrativo sulla riscossione: solo per le multe e la Tari c’è un non riscosso di un miliardo e cento milioni. La leva del miglioramento della riscossione è quella principale da muovere, lo chiede il Governo. «In questo percorso, è lo Stato a fare la prima mossa, mettendo a disposizione un contributo molto elevato nei primi 4 anni che per Napoli significa una cifra che si aggirerà tra i 400 e i 500 milioni. Dal 2026, per 17 anni, è previsto un trasferimento annuo di 100 milioni». Quindi nel testo che si andrà a firmare, oltre alla leva della riscossione per arrivare a un quarto del miliardo e 300 milioni a fondo perduto, cosa deve fare il Comune? È ancora Baretta a spiegare: «L’equilibrio di bilancio non dipende soltanto dall’abbattimento del debito ma, soprattutto, dalla certezza delle entrate proprie. Il Comune si impegna ad una serie di interventi che assicurino risorse proprie ed un ulteriore riduzione della nostra esposizione». Quali sono? I percorsi sono 3: riscossione, dismissione e valorizzazione del patrimonio e la leva fiscale e l’aumento dell’Irpef a partire dal 2023 se non si centra l’obiettivo di incrementare le entrate di almeno un paio di punti percentuali.