Avventurieri o spregiudicati. Vedete voi. Fatto sta che il bilancio 2019 del Consorzio Idrico Terra di Lavoro, oggi al vaglio dell’assemblea, è passato all’unanimità dei sindaci o loro delegati presenti. Eppure il conto economico dell’azienda, composta da 28 enti locali, presentava un cono d’ombra ad ampio raggio. Nella relazione dei revisori dei conti che, nonostante il parere favorevole finale, saltano agli occhi rilievi ed osservazioni che nessuno ha tenuto in considerazione. Non solo. Secondo i principi di revisione riconosciuti a livello internazionale lo strumento contabile doveva essere sottoposto ad un organismo di revisione indipendente per verificare la consistenza reale dei debiti e dei crediti. Ai soci infatti viene raccomandato, prima del voto, di verificare tutte le voci di bilancio a partire dalle registrazioni dei documenti e dalle schede contabili, anche attraverso professionisti di fiducia. Per non parlare della situazione debitoria. L’esercizio finanziario 2019 è in profondo rosso con un indebitamento di quasi 20 milioni di euro. E tenuto conto della difficoltà di recupero dei crediti, della certezza quasi matematica del pagamento dei debiti, del patrimonio netto negativo, gli amministratori avrebbero dovuto attivare ogni iniziativa per evitare un possibile, se non probabile, default che avrebbe serie ripercussioni anche sui soci del consorzio. E invece tutto è filato liscio. Via libera al bilancio. Poi si vedrà.
Il dramma vero del carrozzone Idrico è proprio questo infinito tirare a campare che, come diceva Andreotti, è sempre meglio che tirare le cuoia. Ma alla fine della fiera i debiti vanno pagati. E poiché “historia magistra vitae” sappiamo già come si concluderà la brutta storia del Terra di Lavoro. La massa debitoria ricadrà sugli enti locali. E quindi sui cittadini. Nell’assemblea dei soci di oggi è passata anche la modifica dello statuto consortile ai sensi dell’art. 6 dello stesso. Su questo punto già a febbraio c’era stata la levata di scudi di Giuseppe Oliviero, Erasmo Fava, Salvatore Martiello e Ermanno Masiello, rispettivamente sindaci di Portico di Caserta, Falciano del Massico, Sparanise e Raviscanina. I quattro primi cittadini hanno rimarcato che “lo statuto e le sue modifiche vanno approvati dai consigli comunali consorziati e non dall’assemblea consortile”. A fine aprile Giuseppe Oliviero ha insistito sull’illegittimità della modifica con un documento inviato, tra gli altri, alla Prefettura di Caserta e alla Regione Campania. Ma i sindaci presenti si sono fatti scivolare addosso anche questo. Del resto l’orientamento gattopardesco è chiaro: cambiare tutto per non cambiare nulla. Infatti a fronte del grave deficit le spese per il personale sono passate da 2.923.043 di euro del 2018 a 3.094.919 di euro del 2019, con un incremento del 5,88%. E mentre nella relazione sulla gestione viene prevista una sensibile riduzione per le spese di personale e per le consulenze, di recente è stato pubblicato un avviso pubblico per l’assunzione di nuove unità. Per fermare questo scempio sarebbe il caso che intervenisse la Corte dei conti. E non solo.