Con 14 voti favorevoli e l’astensione delle opposizioni, l’assemblea del VI Municipio di Roma, comprendente i quartieri di Tor Bella Monaca, Tor Vergata, Torre Angela, ha approvato la risoluzione per l’affissione del crocifisso in tutte le aule scolastiche del territorio. Un provvedimento presentato come atto “culturale e simbolico” che pone gravi questioni di ingerenza nell’autonomia scolastica e di violazione del principio costituzionale di laicità dello Stato. Secondo il consigliere Gabriele Manzo (Fratelli d’Italia), promotore della risoluzione, il crocifisso sarebbe un simbolo di appartenenza e rappresenterebbe valori universali e condivisi. Tuttavia, il provvedimento non tiene conto dell’eterogeneità culturale e religiosa del contesto scolastico e delle normative vigenti. «L’esposizione obbligatoria del crocifisso – afferma Irene Tartaglia, dirigente dell’Uaar (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) e coordinatrice del circolo capitolino dell’associazione – non può essere imposta né dalle istituzioni municipali né dalle scuole stesse, come stabilito dalla Corte di Cassazione. Tale imposizione è in netto contrasto con il principio di laicità dello Stato, sancito dalla nostra Costituzione, che garantisce la libertà religiosa, sia in senso positivo (professando la confessione che si preferisce) sia negativo (non professarne alcuna)». A questo proposito, è doveroso richiamare sia la vicenda che ha visto protagonista il professor Franco Coppoli, che il precedente legale del Comune di Mandas (Sud Sardegna), due casi emblematici della battaglia per la laicità negli spazi pubblici. Nel 2009, il sindaco Umberto Oppus tentò di imporre il crocifisso in tutti gli uffici pubblici del suo Comune attraverso un’ordinanza che prevedeva persino una sanzione di 500 euro per chi non si fosse conformato. Grazie ai ricorsi presentati dall’Uaar, il Consiglio di Stato, nel marzo 2024 ha definitivamente dichiarato illegittima quell’ordinanza, riconoscendo che nessun potere pubblico può imporre l’affissione di simboli religiosi in spazi pubblici senza violare i principi di pluralismo e di rispetto delle diverse convinzioni religiose e non religiose dei cittadini. «Il caso di Mandas – conclude Irene Tartaglia – è stato un punto di svolta. Proprio pochi mesi fa il Consiglio di Stato ha ribadito che non è possibile per un ente pubblico imporre il crocifisso negli spazi comuni, poiché tale imposizione è un residuo del periodo fascista e non è più compatibile con il nostro ordinamento».

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui