E’ andata avanti per circa otto lunghissime ore. Senza colpi di scena. Pier Luigi Bersani ha chiesto e ottenuto dalla Direzione del Pd, il mandato a giocare la carta del ‘governo di cambiamento’. Senza subordinate. Ma neanche preclusioni ad altri eventuali sviluppi. “Non dobbiamo avviare un dibattito sulla subordinata, su cosa accade se ci dicono no. -dice Dario Franceschini, intervenuto subito dopo il segretario-.
Fermiamoci qui. La gestione collegiale ci consente, se ci troveremo di fronte a un bivio, di riunirci di nuovo e decidere”. Il percorso e le tappe sembrano dunque segnate. E le diverse posizioni, oggi solo accennate, restano al momento in sordina. Pronte ad emergere se si arrivera’ davanti al “bivio” evocato da Franceschini, se fallira’ la proposta Bersani e il Pd sara’ chiamato a scegliere appunto la “subordinata”. E non sara’ un passaggio indolore. Oggi si e’ intuito anche dalle parole di Bersani. Il segretario non ha posto aut aut, ha concluso la replica inDirezione dicendo che “con fiducia ci affidiamo a Napolitano” ma ha pure fatto una postilla sull’ipotesi (evocata esplicitamente da Umberto Ranieri) di un governo del presidente: “Ho sentito ‘governo del presidente’… Per definizione non tocca a noi decidere e poi bisognera’ intendersi su cosa vuol dire…”. L’unica nota fuori dal ‘copione’, oggi, e’ stata la decisione di Matteo Renzi di lasciare la Direzione poco dopo l’inizio, sentiti gli interventi di Pier Luigi Bersani e Dario Franceschini. E senza intervenire (unico dei grossi calibri insieme a Walter Veltroni) come veniva dato, da molti, per scontato. Il sindaco di Firenze ha voluto evitare una eccessiva sovraesposizione o ha preferito non mischiarsi nella foto di gruppo dei big (D’Alema e Bindi compresi) che si sono alternati sul banco degli interventi? Una lettura quest’ultima condivisa da diversi dirigenti dem, infastiditi dalla scelta di Renzi. Anche se solo Gianni Cuperlo si e’ spinto a una critica esplicita al sindaco.
Il Pd ha deciso dunque di presentarsi davanti al presidente della Repubblica con il tentativo del ‘governo di cambiamento’ basato su un programma di 8 punti. Mettendo nero su bianco che mai ci potra’ essere un governissimo con il Pdl. Il segretario si rivolge direttomente ad Angelino Alfano: ”Noi abbiamo detto la nostra, vuoi dire la tua?”. Si puo’ discutere di “corresponsabilita’ istituzionale” ma mai “accordi di governo tra noi e la destra berlusconiana”. Questa la proposta avanzata da Bersani e la Direzione ha detto si’, con una sola astensione. “Da questa Direzione – dice Bersani nella replica- ipotesi B non ne sono venute, e’ venuta una proposta A. Poi non e’ proibito vedere le difficolta’ e quindi dico io stesso che e’ un sentiero molto stretto. O lo si supera e si comincia con governo o almeno questo sentiero lo si sgombrera’ dalla nebbia”. Il segretario spiega che non si tratta di fare la corte a Beppe Grillo. “Non banalizziamo, qui non si sta corteggiando Grillo ma si tratta di capire quel che si muove nel profondo, di bucare il muro dell’autorefernzialita’ del sistema. Perche’ comincia a essere in gioco il sistema”. Serve una “fase incisiva che dia il segno che cambia qualcosa”, bisogna “dare voce all’esigenza che dopo le elezioni si cambia qualcosa. Dobbiamo dirlo senza balbettare o partecipare al balletto delle ipotesi”. E la via per farlo e’ “un governo di cambiamento sulla base di un programma essenziale che ha il compito di rimuovere le barriere piu’ pesanti che si frappongono tra la politica e l’opinione pubblica e mettere mano a urgenti riforme sociali”. Del resto, sottolinea Bersani, “gli altri partiti non possono offrire qualcosa di meglio per la governabilita’, non hanno le intenzioni ne’ i numeri. Oltre a qualche idea per sbarrarci la strada, non hanno qualcosa da dire al paese”.
Oggi la discussione non ha visto momenti di particolare tensione proprio perche’ si e’ deciso di non entrare nel merito delle “subordinate” ma di fermarsi alla proposta di Bersani. Ma le diverse sensibilita’, per cosi’ dire, sono comunque emerse. C’e’ Massimo D’Alema, ad esempio, che nel chiedere di dire basta all”ossessione degli inciuci”, si dice “rammaricato” che non si possa collaborare con la destra italiana in questa situazione: “Mi rammarico che non sia possibile una risposta in termini di unita’ nazionale. L’impedimento e’ rappresentato da Silvio Berlusconi”. Non sara’ un governo di unita’ nazionale, ma e’ a un governo del presidente che pensano in molti allaDirezione del Pd come subordinata al piano Bersani. A questo pensa l’area veltronian-renziana. Ne’ Veltroni ne’ Renzi intervengono ma Paolo Gentiloni mette l’ipotesi in campo cosi’: “Il sostegno unitario a Bersani non vuol dire che nell’eventualita’ non andasse in porto dobbiamo indicare come prospettiva le elezioni immediate”. Una via che non convince i ‘Giovani turchi’. “Qualunque governo del presidente che si presenti con un’agenda continuista” con quella di Mario Monti “farebbe arretrare la democrazia e non risolverebbe i problemi che abbiamo di fronte”, dice Stefano Fassina. Anche Matteo Orfini marca la distanza con l’esperienza montiana e a D’Alema che invita a ritrovare l’unita’ con le forze europeiste ribatte: “L’idea proposta da D’Alema e’ suggestive, ma dobbiamo capire cosa significa e non declinarla in modo provinciale: dovremmo fare l’alleanza con chi combattiamo sull’europeismo su scala europea?”. Anche Dario Franceschini nel suo intervento aveva sollecitato la necessita’ di un allargamento ai montiani. Una proposta bocciata duramente in Rete. Oggi #direzionePd ha dominato il dibattito su Twitter: Renzi e l’attacco ai vecchi dirigenti al centro dei commenti. Fuoco di fila contro D’Alema e Bindi, solo per fare qualche nome. Promossi Pippo Civati, Michele Emiliano e Renato Soru.