Giovedì 18 alle 10: è la dead line entro la quale dovrà saltare fuori il nome condiviso del nuovo Capo dello Stato (in pole ad oggi resta Giuliano Amato). Se dal primo voto del Parlamento in seduta comune non uscirà il successore di Giorgio Napolitano, trattative pubbliche e incontri segreti riprenderanno frenetici (se necessario fino alla quarta votazione, quella che richiede non più i due terzi degli elettori ma la maggioranza assoluta degli aventi diritto), ma con esili chances di accordo tra Pd e Pdl (ed in caso di muro contro muro, il favorito è ancora Romano Prodi).
Anche nella giornata di oggi, però, la questione della corsa al Quirinale si è intrecciata a diverse altre faccende: la formazione di un nuovo governo (che il Pdl pretende sia di larghe intese, altrimenti subito al voto); la faida esplosa nel Pd (con il segretario Pierluigi Bersani ed il ‘rottamatore’ Matteo Renzi ormai in rotta); la ‘ragione sociale’ del M5s (imbarazzato dal gran successo nelle ‘quirinarie’ di Romano Prodi, per i grillini non espressione del nuovo); le indecisioni di Silvio Berlusconi (tentato dal voto subito ma anche dalla possibilità di siglare larghe intese decisive per il Paese); la spaccatura nella Lega e i turbamenti dei montiani (sotto choc per la conferma di un ‘disimpegno’ del premier dalla vita attiva di Scelta Civica). Giorgio Napolitano ha chiuso con definitiva eleganza all’ipotesi di una sua conferma al Colle: “Ci vuole il coraggio di fare delle scelte, ora bisogna guardare avanti”. Il risiko del Quirinale è così ripreso oggi, con l’incontro ufficiale di PierLuigi Bersani con Mario Monti, dal quale emerge la convergenza su un “nome di unità nazionale”. Sul nuovo colloquio Bersani-Berlusconi, intanto, pesa l’umore del Cavaliere indispettito dall’assenza di buone nuove e pronto a mettere in discussione l’utilità dell’incontro con il segretario del Pd. “Vedo la situazione ancora assolutamente indeterminata. Aspettiamo indicazioni dal Pd”, dice al Tg5 l’ex premier. In attesa di un vertice domani sera a Palazzo Grazioli, di rientro a Roma, il Cav manda intanto avanti i suoi all’insegna del ‘si vis pacem para bellum’. Renato Schifani chiede riconoscimenti per il Pdl (“I miei nomi?: Silvio Berlusconi e Gianni Letta”) e Sandro Bondi spiega che “le lotte intestine al Pd, preludio ad un’inevitabile spaccatura quando Renzi proporrà una sua candidatura”, paralizzano il quadro e fanno sì che “Bersani non possa essere più l’interlocutore di nessuno”. Nel Pd è il caos: Renzi si ribella a Bersani (“pensa ai suoi destini personali”), definisce “un ripescaggio di lusso” quello di Franco Marini non eletto in Abruzzo e attacca Anna Finocchiaro, “non è adatta al Quirinale, ha fatto la spesa ad Ikea con un carrello umano”, la scorta. “Un attacco miserabile”,ribatte la senatrice Pd, mentre Marini accusa il sindaco di Firenze di aver pronunciato “parole gravi e offensive”. Sospetti e accuse incrociate avvelenano queste ore di vigilia, mentre restano nella rosa dei papabili Giuliano Amato, Luciano Violante, Massimo D’Alema (nomi tutti graditi al Pdl). In caso di muro contro muro continua invece a rimanere sul tavolo la carta Prodi, al quale Bersani faticherebbe a dire no senza attirarsi l’ira dei cattolici e l’accusa di aver bocciato il padre dell’Ulivo. “Facciamo sempre questo cinema, ma quando c’é da prendere una decisione, decidiamo”, prova a minimizzare la faida interna Bersani . Quanto al Quirinale, “si decide all’ultimo”. A poche ore dalla chiusura delle ‘quirinarie’ e dell’incontro con il Pd, intanto, il guru del M5s Gianroberto Casaleggio affossa Prodi e la Bonino. “Il presidente non sia politico, rappresenti tutti gli italiani, sia superpartes”, allontana la possibile accusa che i grillini abbiano scelto espressioni della vecchia politica. Poi marcia indietro: “Noi ci rimettiamo sempre alle decisioni del Movimento: se il Movimento dovesse scegliere Prodi, voteremo lui…”.