Il nascituro governo Letta che ha tenuto fuori i nomi dei big, sia del Pd che del Pdl, sembra riuscito, almeno per il momento nell’impresa di attenuare il malumore interno sulle larghe intese. Diversi ‘malpancisti’ che avevano manifestato la loro contrarietà all’accordo con il Pdl valutano infatti positivamente il fatto che, per dirla con Sandro Gozi, “sono rimasti fuori alcuni protagonisti ingombranti degli ultimi vent’anni che hanno allontanato i cittadini dalla politica”.
Lo stesso giudizio di un altro ‘scontento’ come Pippo Civati. Certo, la richiesta è ora quella che all’interno della riunione del gruppo parlamentare di lunedì mattina in preparazione del voto di fiducia ci sia una “discussione franca” con l’indicazione delle prossime priorità politiche in agenda e non sia solo una convocazione formale. Il Pd è dunque alla prova della fiducia e, da più parti, arrivano appelli a un Pd “unito” alla prova. Il governo messo in campo dal premier incaricato, comunque, per ora non sembra scontentare nessuno. Certo, c’é la consapevolezza che il Pd non ha conquistato ruoli davvero ‘chiave’ in un governo che, per altro, viene considerato, da diversi dirigenti Dem un po’ troppo a trazione moderata. Tanto è vero che Sel fa subito sapere che poco cambia e che Sel resterà all'”opposizione responsabile” del governo Letta. Le varie correnti, sono, però, quasi tutte soddisfatte. C’é il leader di Areadem, Dario Franceschini, il renziano Graziano Delrio (per il quale l’area del sindaco rottamatore avrebbe però rivendicato un ministero di più peso); c’é il bersaniano Flavio Zanonato; il capo della corrente dei ‘giovani turchi’ Andrea Orlando all’ambiente e il dalemiano Massimo Bray alla Cultura. Non ci sono i big. Ma, ad esempio per quanto riguarda Massimo D’Alema i suoi spiegano che il fatto di essere rimasto fuori dalla squadra di governo non lo avrebbe sorpreso visto come si era messa la partita e visto il fatto che nell’esecutivo non sono, di fatto, presenti ‘big’. Poco minuti dopo la lettura da parte di Letta della lista dei suoi ministri il segretario dimissionario Pier Luigi Bersani interviene per far sapere che “nel necessario compromesso” il suo è un giudizio positivo e invita il Pd a sostenere il lavoro del nuovo esecutivo. Chiusa la partita del governo, per la quale, però, manca ancora tutta la ‘pratica’ dei viceministri e sottosegretari che si incrocerà con quella delle presidenze delle commissioni parlamentari, ora si apre quella congressuale. Il primo appuntamento in calendario è quello dell’assemblea che il 4 maggio dovrà stabilire tempi e modi del congresso. Un’assemblea che potrebbe comunque slittare. Da parte di alcuni segretari regionali, infatti, ci sarebbe stata la richiesta, di far slittare l’appuntamento per poter far digerire meglio alla ‘base’ le scelte fatte. Nell’assemblea si stabilirà anche chi avrà la ‘reggenza’ del partito fino al congresso e resta in pole il nome di Guglielmo Epifani. Non si candidaré a questo ruolo, invece, Matteo Renzi. Il sindaco rottamatore, tra l’altro, non avrebbe sciolto ancora la riserva su una sua possibile corsa alla segreteria anche se l’ipotesi sembra difficile. Più probabile viene data, invece, una sua candidatura all’Anci visto che Graziano Delrio è entrato a far parte del governo. Con la nascita del governo Letta in qualche modo la strada del sindaco – spiegano anche i suoi – in parte si complica visto che a ottobre dovrebbe decidere se ricandidarsi o meno a Firenze. Una scelta che Renzi dovrebbe fare in autunno. A quel punto non è escluso che nelle sue valutazioni entri anche lo ‘stato di salute’ del governo Letta visto che una sua ‘corsa’ alla premiership è ipotizzabile con una dead line qualora si andasse a votare alle politiche insieme alle europee 2014.