“Il capo sono io”. Quando sembravano archiviate le risse tra correnti grazie alla nuova pax maroniana, ecco il ‘siluro’ di Umberto Bossi ad agitare, ma nemmeno troppo, le acque della Lega, il giorno dopo la ‘benedizione’ del nuovo corso nel primo consiglio federale presieduto da Maroni segretario. Segretario che non si lascia sfiorare dalla questione, affidando ai suoi luogotententi la risposta, salvo postare sul suo profilo di Facebook poche righe sulla legge elettorale, con le quali ‘approfitta’ per ricordare che la Lega “é in forte ripresa di consenso rispetto all’epoca degli scandali” e che ora si lavora “bene e con grande intensità, nuova squadra, facce nuove e pulite: avanti così, decisi e convinti”.
Messaggio chiaro, anche se indiretto. E che non lascia spazio a speculazioni di chi, come tuona Roberto Calderoli, sta mettendo in atto “un tentativo fin troppo evidente” di “fermarci”, creando “una frattura tra Bossi e Maroni e quindi nella Lega”. Tecniche da “illusionisti” che usano “tutte balle, aggiunge. Anche perché, come fanno notare molti in Transatlantico, le parole del Senatur, pubblicate oggi ma raccolte a una festa del movimento nei giorni scorsi, sono state “superate dagli eventi”, visto che a fare chiarezza, a partire dal tema caldo delle espulsioni, ci ha già pensato la riunione di ieri. Anzi, si ragiona tra i lumbard, proprio per “rispetto” al vecchio capo bisognerebbe evitare di trascinarlo a fare “il capocorrente di una corrente minoritaria”. Il Bossi-pensiero ha spaziato da un possibile riavvicinamento con Berlusconi (“sarebbe un buon segnale, ma è ancora troppo presto” e poi dipende dalla “legge elettorale”) al futuro di Formigoni (“resta fino al 2013”), passando per il rimpianto di “non essere più segretario”. Ma per il Senatur ci sarebbero stati ad esempio anche margini per recuperare qualche ‘epurato’ di troppo. Impossibile, come ha sancito ieri il consiglio federale, visto che per gli espulsi prima del 30 giugno valgono “le vecchie regole” (quindi nessun potere di Bossi in merito). Nonostante la ‘distanza’ di Maroni, a scanso di equivoci, arrivano a raffica le puntualizzazioni di tutto il nuovo gotha del Carroccio, che stroncano ogni tentativo di rompere la ritrovata armonia. Il messaggio è chiaro: le decisioni le ha prese il congresso, la Lega ha dato il via al suo nuovo corso, e soprattutto chi detta la linea ora è, ed è soltanto, Bobo Maroni. “I ruoli e le competenze” sono stati stabiliti al congresso, dice il capo dell’ufficio politico, oltre che vice, Giacomo Stucchi, seguito dal vice veneto di Maroni, Federico Caner, che sottolinea “l’unanimità ” con cui è stato scelto il segretario. A sostenere il nuovo ‘capo’ anche tutti i segretari delle regioni roccaforte del Carroccio, a partire da Flavio Tosi, fresco di elezione alla segreteria del Veneto. “Il capo della Lega – scandisce – è Maroni. Punto. E vale per tutti, Bossi compreso”. Certo, come sottolineano tutti, resta il “rispetto” verso il “padre fondatore” del movimento, ma, come dice il segretario della Romagna, Gianluca Pini, “non siamo più un movimento patriarcale”, ricordando peraltro che “la base” non é “per nulla propensa a piroette”. E visto che, come osserva anche il segretario della Lega lombarda, Matteo Salvini, “molti delusi ora stanno rientrando”, non è certo il caso di andare a rinfocolare vecchie divisioni. Quindi Bossi resta, dice dall’Emilia Fabio Raineri, “il garante dell’unità della Lega” ma la linea “la detta Maroni” ed con lui che ora, sottolinea pure Roberto Cota “siamo tutti in squadra, una squadra vincente”.