Sulla legge elettorale è ormai scontro aperto tra Udc e Pd. Sulle preferenze “non si tratta”, avverte Pier Ferdinando Casini. I centristi devono stare attenti a quello che pensano perché “noi non scherziamo, il Paese va governato”, è la replica di Bersani. Oggi, insomma, esce allo scoperto una frattura che già da giorni lacera il centrosinistra. Secondo quanto si apprende da fonti parlamentari vicine al centrodestra, Casini avrebbe deciso di forzare la mano per via dell’asse che si sarebbe saldato tra il Pd e Vendola.

Calcoli e sondaggi alla mano, è il ragionamento che si racconta, Democratici e Sel potrebbero ottenere alle prossime elezioni un 33% che, in termini di seggi, potrebbe arrivare anche al 37%. Se si aggiungesse a questo il premio di maggioranza del 15% si potrebbe superare il 50%, cosa che farebbe diventare l’eventuale successiva intesa con Casini del tutto marginale. Per questo, si spiega, il leader centrista avrebbe preferito lanciare l’affondo per tornare ad essere l’ago della bilancia. Ma soprattutto per tentare di raggiungere il traguardo del proporzionale con le preferenze che è da sempre il suo modello ideale. E schierandosi con Pdl e Lega non sarebbe poi così difficile trovare i numeri per far passare la riforma in commissione e in Aula. Anche alla Camera. In più, a far irritare l’ex presidente della Camera sarebbe stata l’insistenza dei Democratici sul premio alla coalizione del 15%. Quando ha visto che su questo Bersani non voleva sentir ragioni avrebbe detto ai pidiellini di voler andare avanti anche sul discorso delle preferenze. Arrivando così alla quasi frattura con i Democrat. Forte dell’adesione dell’Udc, il Pdl sembra intenzionato ad arrivare in tempi rapidi alla parlamentarizzazione della riforma. Domani il numero uno di Palazzo Madama Renato Schifani incontrerà il presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato Carlo Vizzini per fare il punto. E si dà quasi per certo che martedì, nella prossima riunione dei capigruppo, Schifani, rimetterà la ‘pratica-legge-elettorale’ nelle mani della commissione, togliendola così a quel Comitato ristretto che sinora, per colpa dei partiti che non hanno fornito indicazioni, non era riuscito a fare passi avanti. Una delle soluzioni ora allo studio per rendere più soft il passaggio dal Comitato alla Commissione potrebbe essere quella di far presentare ai due relatori del Comitato, Enzo Bianco (Pd) e Lucio Malan (Pdl), due diversi testi base da mettere ai voti. E il centrodestra, si assicura, sommando i senatori del Pdl con quelli di Lega, ‘Coesione Nazionale’ e Udc riuscirebbe ad avere la maggioranza. Anche nell’Aula di Palazzo Madama. Alla Camera, invece, si stanno facendo i conti. Anche perché in molti nel Pdl sostengono come tra i Democratici ci sia chi spinga per le preferenze chiedendo in cambio di puntare tutto sul premio di governabilità. Se restasse infatti il Porcellum con le coalizioni, sostengono alcuni deputati alla destra di Bersani, e il centrodestra mettesse in piedi all’ultimo momento magari uno schieramento ‘Pro Monti’, l’asse Vendola-Bersani potrebbe venire travolto. Per questo, sarebbe il suggerimento, non si devono correre rischi. Meglio dire sì alle preferenze e intascare un premio alto di governabilità. Ma al massimo, assicura un tecnico delle riforme del centrodestra, il premio potrebbe arrivare al 10%, “non oltre”. Così, in serata, le dichiarazioni nel Pd si fanno più soft: “Le preferenze? Vedremo…” risponde il presidente dei senatori Pd Anna Finocchiaro che in mattinata era stata più tranchant (“siamo contrari alle preferenze, lo abbiamo detto in tutte le salse..”). Mentre il vicepresidente del Senato Vannino Chiti (Pd) avverte: “Spero l’Udc non voglia assumersi la responsabilità di una rottura altrimenti non risanabile”.

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