“La politica, forse troppo tardi, ha capito la lezione. Ora deve applicare quello che ha capito”. Parla agli industriali, Enrico Letta. E ribadisce l’impegno del governo sul fronte del taglio ai costi della politica, a partire da abolizione del finanziamento pubblico, riduzione del numero dei parlamentari e abolizione delle province. E mentre in Parlamento aumentano le proposte per cancellare il sistema attuale dei rimborsi elettorali, anche il Quirinale prosegue sulla via dell’austerity, con risparmi per 9 milioni l’anno.
“Se non c’é la capacità di essere austeri, con costi della politica ridotti, non si riesce ad avere la credibilità per ottenere risultati concreti”, dice il premier davanti alla platea di Confindustria. Un primo passo, ricorda Letta, è stato fatto con la cancellazione del doppio stipendio per i ministri che sono parlamentari. Un intervento che ha portato, rivela la relazione al decreto Imu-Cig, un risparmio complessivo di 1,56 milioni di euro (2 mln lordi). Il solo Letta rinuncia infatti a 75 mila euro l’anno (poco meno di 100 mila lordi), i 13 ministri in totale a 652 mila euro e i 20 sottosegretari a 834 mila. Un primo passo. Dopo il quale ora “continueremo”, si impegna Letta, sulla via del taglio ai costi della politica. A partire dal sistema del finanziamento pubblico ai partiti, del quale ha parlato ieri il ministro Gaetano Quagliariello nell’audizione in commissione con cui ha tracciato le linee programmatiche. “Sobrietà e trasparenza”, le parole d’ordine. Nella consapevolezza che esiste un “costo incomprimibile della democrazia” e bisogna renderlo “sostenibile”. Come? Con l’abrogazione del finanziamento ai partiti, accompagnata da altri possibili interventi. Come, spiega il ministro, l’introduzione di rimborsi elettorali non più ‘a pioggia’, ma strettamente legati alle spese sostenute e rendicontate. E poi l’incentivazione dei contributi dei privati ai partiti, con interventi fiscali e di semplificazione. E infine la sostituzione, da parte dello Stato, della “erogazione diretta di denaro con la fornitura di servizi”, quando possibile. Per “scongiurare” un “cattivo finanziamento”, Quagliariello sottolinea anche la necessità di una legge sui partiti che regoli l’utilizzo delle risorse e scongiuri “gestioni opache”. Se ne parlerà nell’ambito del percorso delle riforme istituzionali. Ma già in Parlamento sono depositate diverse proposte di legge: se ne contano almeno sette per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, tra cui due dei renziani del Pd alla Camera e al Senato, una del Movimento 5 Stelle e una del leghista Roberto Calderoli. Ultima arrivata, una proposta di Scelta Civica che prevede, spiega Gregorio Gitti, di “abolire l’attuale sistema di finanziamento pubblico e sostituirlo con forme di contribuzione privata”. Intanto la presidenza della Repubblica fa sapere di non aver chiesto “alcun adeguamento della sua dotazione” allo Stato per il triennio 2014-2016 e aver mantenuto i suoi fondi fermi al valore del 2008 (228 milioni), nonostante che da allora ad oggi sia già maturato un tasso di inflazione pari all’11%. Prosegue così la politica di risanamento avviata fin dall’inizio del primo settennato di Giorgio Napolitano: risparmi stimati, circa nove milioni di euro l’anno.