Ancora una fumata nera sul rinnovo del cda Rai e questa volta l’atmosfera politica si fa esplosiva. Nella bufera finisce il presidente del Senato, Renato Schifani, per la sua scelta di sostituire Paolo Amato, membro del Pdl in Commissione di Vigilanza, che aveva espresso l’intenzione di non votare con il suo partito, con Pasquale Viespoli di Coesione Nazionale. Gli attacchi arrivano da tutto il centrosinistra, anche nell’aula del Senato, ma a far rumore è soprattutto la presa di posizione del suo omologo alla Camera, Gianfranco Fini.
“Schifani ha ravvisato l’urgenza di intervenire solo oggi perché era chiaro che la libertà di voto di Amato avrebbe determinato un esito della votazione non gradito al Pdl? – si chiede – Se così fosse, saremmo in presenza di un fatto senza precedenti e di inaudita gravità politica”. Fini chiede a Schifani di chiarire, proprio come fa il segretario del Pd, Pierluigi Bersani. “I modi e i tempi della sostituzione del senatore Amato lasciano senza parole – afferma -. Credo che a questo punto sia indispensabile e urgente che il presidente del Senato riferisca in aula”. Schifani si dice “sereno”, avendo impedito “che la Vigilanza Rai compisse atti viziati da illegittimità”, e motiva la sua scelta spiegando, in una lettera ala presidente della Bicamerale, Sergio Zavoli, che “in seguito al ricalcolo proporzionale dei 20 seggi spettanti ai gruppi di Palazzo Madama è risultato che il gruppo del Pdl dovesse rinunciare a un componente”. Componente indicato proprio in Amato, che in mattinata aveva affermato di voler votare per un candidato non di area, cioé Flavia Piccoli Nardelli, impedendo di fatto ai suoi di ottenere la maggioranza dei sette consiglieri di nomina parlamentare. Il Pdl si schiera compatto in difesa di Schifani. “Non accettiamo alcuna critica – afferma Angelino Alfano -, a maggior ragione da parte di chi, in pieno esercizio del suo alto ruolo istituzionale, ha fondato un partito”. “Reazioni isteriche – replicano dalla presidenza della Camera – che non fanno altro che confermare i sospetti”. Sullo sfondo della polemica istituzionale, che ricorda quella del 2009 in occasione della sostituzione del presidente della Vigilanza, Riccardo Villari, c’é lo stallo sulla gestione della Rai. “La situazione – avverte Zavoli – è sul punto di diventare gravemente pregiudizievole per la difesa dei compiti e dei valori del servizio pubblico”. A questo punto sia Bersani che Pierferdinando Casini chiedono al governo di intervenire se domani le nomine non si sbloccheranno, anche con il commissariamento. Un’ipotesi che – spiegano esponenti di Pd e Udc – sarebbe realizzabile in caso di grave crisi economica aziendale (per la Rai sarebbe giustificata dal crollo delle entrate pubblicitarie) o di stallo nell’amministrazione dell’azienda. La decisione spetterebbe a Palazzo Chigi, che per il momento – spiegano fonti di governo – attende che la situazione si sblocchi, ritenendo la vicenda di competenza parlamentare. In Vigilanza, il posto di Amato è stato assegnato da Schifani a Viespoli di Coesione Nazionale, gruppo che da un mese chiedeva di essere rappresentato in Vigilanza. L’atto ha determinato anche una disputa regolamentare, perché secondo il centrosinistra per la sostituzione sono necessarie le dimissioni dalla Vigilanza, che Amato ha ritenuto di non dover dare. Fatto sta che il Pdl, con Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, ha annunciato l’uscita di Amato dal partito accusandolo di ordire complotti. La riunione della Vigilanza di oggi, dopo la fumata nera di ieri, si è risolta in un nulla di fatto perché Pdl e Lega Nord hanno fatto mancare il numero legale. La scelta di Amato avrebbe determinato probabilmente l’elezione di Flavia Nardelli, con voto trasversale, di Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo, sostenuti dal Pd, di Rodolfo De Laurentiis, del Terzo Polo e di tre dei quattro candidati Pdl, Antonio Verro, Guglielmo Rositani, Luisa Todini e Antonio Pilati. Così non è stato e da domani alle 9 si voterà, se necessario, a oltranza. Viespoli dovrebbe presentarsi in Vigilanza, ma il Pd fa già sapere che farà di tutto per non farlo votare, quantomeno nella prima seduta. E’ immaginabile lo scontro, che toccherà a Zavoli risolvere. Sempre che il Pdl decida di presentarsi al voto, tenuto conto che ci sarebbero altri membri pronti a non seguire le indicazioni del partito. Non per nulla, a San Macuto, è andata in scena una riunione in cui – riferisce un parlamentare presente – sono volate accuse pesantissime tra i pidiellini. La Lega, poi – avverte Roberto Maroni – potrebbe chiamarsi fuori “se continuano i giochi tra Pd e Pdl” e il suo appoggio è fondamentale per gli alleati. In teoria il centrosinistra potrebbe anche tentare di avere il numero legale senza Pdl e Lega (oggi sarebbe bastata la presenza del radicale Marco Beltrandi per riuscirci), ma non è detto che l’opzione venga considerata politicamente accettabile.