Via libera del Parlamento al tetto agli stipendi dei ‘super manager’ pubblici. Quasi all’unisono, Camera e Senato esprimono parere favorevole al decreto del governo che fissa l’asticella a 294 mila euro. E affermano, con un vistoso cambio di marcia rispetto alla vigilia, che il taglio delle retribuzioni piu’ alte va fatto subito. Non solo. I deputati di Pd e Pdl prendono anche l’iniziativa perche’ il tetto, ora limitato alle amministrazioni dello Stato, sia esteso a tutti gli enti pubblici, Regioni e Comune inclusi.

Ma il via libera alle misure e’ tribolato e la Lega vota contro. Mentre i deputati avvertono il governo: si rischiano parecchi ricorsi. Oggi si compie un primo passo. Con il loro parere favorevole le Camere aprono la via all’approvazione definitiva del decreto della presidenza del Consiglio (Dpcm) che rende operative le norme del decreto ‘Salva Italia’ sul tetto agli stipendi dei dirigenti della P.a. Perche’ scatti il taglio delle retribuzioni piu’ alte, basta adesso la firma al Dpcm del presidente del Consiglio, Mario Monti, che potrebbe tener conto di alcune delle osservazioni delle Camere. ”Valuteremo attentamente i pareri”, assicura il ministro della P.a., Filippo Patroni Griffi, che non si sbilancia oltre. Ma assicura: ”Andremo fino in fondo”. E in effetti il lavoro non appare ancora completo. Perche’ il tetto introdotto dal ‘Salva Italia’ riguarda solo una parte dei dirigenti pubblici, quelli alle dipendenze dello Stato. Restano escluse le Authority, le Camere di commercio, agenzie come il Coni e soprattutto gli enti locali. E anche se il decreto attuativo prevede gia’ qualche estensione, le Camere sostengono che esse sono valide solo se introdotte per legge. E a questo scopo Brunetta (Pdl) e Gianclaudio Bressa (Pd) annunciano un emendamento al dl Semplificazioni (si sta valutando come renderlo ammissibile, alla luce dello stop di Napolitano agli emendamenti disomogenei) che estende il limite retributivo a tutti i dirigenti pubblici e impegna anche le Regioni a uniformare le leggi locali, per evitare che il manager di una municipalizzata guadagni piu’ di un ‘grand commis’ di Stato. Ma era un altro il punto che alla vigilia aveva agitato gli animi: l’applicabilita’ o meno del taglio da subito, ai contratti in corso. La bozza di parere dei relatori della Camera Donato Bruno (Pdl) e Silvano Moffa (Pt), citava il divieto di ‘reformatio in peius’ per dire che il tetto non puo’ applicarsi subito. Ma Pd e Pdl si sono accordati per imporre un netto cambio di rotta e dire si’. Lo impongono, sostiene il governo, ”inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica”. E i deputati convergono su questa posizione. Con una postilla, voluta dai relatori: ”c’e’ il rischio che un intervento immediato” provochi i ricorsi di un gran numero di manager ‘danneggiati’. Una postilla che Bressa e Brunetta non condividono e che inducono Linda Lanzillotta (Api) ad astenersi: ”Il parere – sostiene – e’ un capolavoro di subdola ipocrisia”, che formalmente dice si’, ma in realta’ ”con vocazione suicida” frena l’azione del governo e ”da’ formidabili cartucce” a chi gia’ prepara i ricorsi. ”Si sono incazzati i pensionati, si sono incazzati i parlamentari, si incazzeranno anche i dirigenti pubblici”, fa spallucce Brunetta. Ma la pensano totalmente all’opposto altri, come Giuliano Cazzola (Pdl): le norme sul tetto retributivo, afferma, hanno ”zone d’ombra e profili d’incostituzionalita”’. La Lega, invece, propone norme ancor piu’ restrittive, fissando il tetto al livello dello stipendio di parlamentare: 122 mila euro lordi. E vota contro il parere della Camera al governo. Perche’ in quel parere si afferma che il governo puo’ introdurre deroghe al tetto, sia pur limitate alle ”posizioni di piu’ alto livello di responsabilita’, con esclusione degli uffici di diretta collaborazione ministeriale”. Il governo Monti ha detto no alle deroghe, ma quelli che verranno dopo, potranno farne.

 

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