Scontro frontale tra il Quirinale e la procura di Palermo. Giorgio Napolitano ha deciso di chiamare la Corte Costituzionale a pronunciarsi sull’operato dei pm palermitani che hanno intercettato una sua telefonata con l’ex ministro Nicola Mancino : questo e non altro significa la decisione del Quirinale di sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Una scelta estrema, che ha un solo altro precedente nella storia della Repubblica, quando Ciampi fece lo stesso con l’allora ministro della Giustizia Castelli che non voleva concedere la grazia a Ovidio Bompressi.

L’accusa che Napolitano rivolge alla procura del capoluogo siciliano è di aver preso decisioni “lesive” delle prerogative che la Costituzione attribuisce al presidente della Repubblica: in primis quella di non essere sottoposto a indagini e intercettato. Le regole, sostiene il Quirinale, sono fissate dall’articolo 90 della Costituzione e da una legge del 1987, entrambi citati nel decreto con cui Napolitano ha dato mandato all’avvocato generale dello Stato di rappresentare il Quirinale nel giudizio: le telefonate intercettate in cui compare il capo dello Stato, sostiene il Colle, “non possono essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte”. E invece i pm palermitani, osserva il Quirinale, non solo hanno disatteso a questi principi ma si apprestano a far uscire tutto questo materiale dal palazzo di giustizia per consegnarlo nelle mani dei difensori delle persone indagate. Un modo di comportarsi tutto sbagliato, per il colle, secondo il quale non vale nemmeno la considerazione che a essere messo sotto controllo era stato il telefono di Mancino e non quello di Napolitano, perché le regole richiamate valgono anche nel caso di intercettazioni “indirette”. Secondo il colle, invece,la strada da percorrere era un’altra: i magistrati avrebbero dovuto immediatamente distruggere tutto il materiale acquisito che coinvolgeva il capo dello Stato. Punto e basta. Napolitano non ne fa tanto una questione personale quanto un fatto che riguarda l’integrità della presidenza della Repubblica. Come spiega il comunicato ufficiale del Quirinale con un richiamo a Luigi Einaudi, la preoccupazione è una sola: che restare in “silenzio” di fronte a un fatto del genere possa portare a una “incrinatura” delle facoltà quirinalizie da trasmettere al suo successore. Con il risultato che il nuovo inquilino del Quirinale sarebbe un po’ più vulnerabile dei suoi predecessori. L’affondo di Napolitano non ha però fatto cambiare idea ai pm di Palermo, che restano sulle loro posizioni e fanno capire quale sarà la loro linea di difesa di fronte alla Corte. Francesco Messineo assicura che tutte le norme a tutela del presidente della Repubblica “sono state rispettate”; mentre Ingroia sostiene che un’intercettazione tra una persona coperta da immunità come il capo dello Stato e un indagato può essere benissimo utilizzata se è rilevante per chiarire la posizione dell’indagato. Attenta a non alimentare polemiche il ministro della Giustizia Paola Severino: da lei arriva una difesa della decisione del Quirinale (“Il capo dello Stato ha utilizzato il mezzo più corretto”) ma anche l’osservazione che Napolitano non ha voluto “sollevare conflitti politici o polveroni” ma solo risolvere una questione, quelle delle intercettazioni in cui resta coinvolto il capo dello Stato, che interessa il funzionamento delle istituzioni. Sul fronte politico, Napolitano fa il pieno di consensi nella maggioranza che sostiene il governo Monti, soprattutto nel Pdl, partito da tempo in guerra con Ingroia e la procura di Palermo. “Napolitano dimostra che la nostra battaglia era giusta”, si compiace Gasparri auspicando una stretta sulle intercettazioni; una posizione che viene gelata dal Pd, che dice no (con Donatella Ferranti) alle “strumentalizzazioni” del Pdl. Tra i democratici, comunque, la mossa di Napolitano trova tutti d’accordo: secondo il vicesegretario Enrico Letta si tratta di “un’iniziativa più che opportuna che porterà chiarezza ed eviterà in futuro contraddizioni e pericolosi conflitti tra poteri dello Stato”. Idem per Pier Ferdinando Casini che in modo lapidario osserva: “E’ un atto di responsabilità che solo gli analfabeti possono fraintendere”. Ce l’ha , evidentemente, con coloro che storcono il naso di fronte alla sortita di Napolitano, in primis il leader dell’idv Di Pietro che ammonisce: “nessuno, qualunque carica rivesta, interferisca con l’Autorità Giudiziaria nell’accertamento della verità”. Prudente, infine, il giudizio del presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli: “Non si vuole interferire in alcun modo nelle vicende giudiziarie, abbiamo il massimo rispetto, ho già detto che troppe parole fanno male sia alle indagini che ai processi”.

 

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