Non è mai banale. E riesce sempre a leggere il sottotesto degli avvenimenti. Merce rara in un mondo del giornalismo che, diciamocela tutta, non vive i suoi anni migliori, un po’ per la crisi dell’editoria, un po’ per il livellamento verso il basso di un mestiere che sembra un nobile decaduto. Alessandro De Angelis è un passo avanti. Anche due. È uno tra i più acuti commentatori politici del panorama italiano. Pungente. Esegetico. E soprattutto originale. Va nelle pieghe delle dinamiche partitiche senza fermarsi all’apparenza, cifra distintiva della classe dirigente dei nostri tempi. Sgrana il rosario dell’analisi e dell’approfondimento con l’approccio “fenomenico” kantiano. Del resto De Angelis ha l’aggravante di essere colto. Altro prodotto poco presente negli scaffali del giornalismo d’oggi. La sua formazione politico-culturale gli consente di dare una spiegazione dei fatti che parte sempre da un punto di vista mai scontato. Coglie i retroscena e spiega con scrittura accattivante quello che avviene sul proscenio della politica, dei palazzi del potere. Squarcia il velo di Maya dietro al quale si celano i giochi parlamentari, le “grandi manovre” tra maggioranza e opposizione. La sua forza è la libertà di pensiero. Non è inquadrabile. È uno spirito libero, per l’appunto. Una libertà che gli consente di essere spesso fuori dal coro e di sferrare la stoccata letale a un mondo politico morente. Come dimostra impietosamente il baratro nel quale è finita la partecipazione popolare. Alle regionali di Lombardia e Lazio il partito che ha sbaragliato la concorrenza di tutti è quello dell’astensionismo. I cittadini non vanno più a votare. Preferiscono starsene a casa. Un fenomeno che una classe dirigente degna di questo nome dovrebbe indagare con attenzione, invece di gioire o rammaricarsi per qualche 0,1% in più o in meno. La gente diserta le urne perché nel supermercato dei partiti c’è poca roba. Pure scadente. Ecco, Alessandro De Angelis è uno di quai cronisti che mette a nudo la pochezza della classe dirigente. Non per inseguire il cavallo pazzo del populismo, ma perché è consapevole che un Paese senza una classe dirigente all’altezza delle nuove sfide non ha futuro. E senza futuro si ripone nel cassetto dell’oblio la speranza di un mondo migliore. De Angelis con la sua sagacia e i suoi commenti tranchant ricorda Flaiano: “La situazione è grave ma non è seria”. E non perché siamo alle porte del Carnevale. Per la miopia dei partiti che, a differenza di De Gasperi che da statista guardava ai 20 anni successivi, riesce a mala pena a volgere lo sguardo alle prossime elezioni. Ai microfoni di Italia Notizie De Angelis sintetizza con una battuta-verità l’esito delle regionali lombardo-laziali: “Ci sono Biancaneve e i cinque nani. Biancaneve è Giorgia Meloni, i cinque nani sono nell’ordine Salvini, Berlusconi, Calenda, Conte e il Pd”. A prima vista sembra un’esemplificazione giornalistica, nel merito è una fotografia impietosa del quadro politico uscito dalle urne. “La premier – afferma De Angelis – non ha competitor nel suo campo e specularmente nel campo avverso non c’è un embrione di una proposta alternativa”. Come dargli torto? Meloni però non è destinata a vincere a vita. “Può essere sconfitta – rimarca De Angelis – perché invece di assumere una postura a vocazione maggioritaria opera con un approccio minoritario e con una classe dirigente da operetta”. Ma torniamo al presupposto di fondo. “Il centrosinistra – dice il giornalista – finché non sarà in grado di elaborare una proposta alternativa sarà destinato a perdere sempre”. Un destino segnato? Per il momento si direbbe proprio di sì. Sul versante delle opposizioni continua a essere attuale il pessimismo morettiano: “Continuiamo così, facciamoci del male”.

Mario De Michele

LA VIDEO INTERVISTA AD ALESSANDRO DE ANGELIS



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