Un decreto, nonostante le polemiche. Sfidando tutti: la Corte di giustizia europea, il Colle, i magistrati. Giorgia Meloni non intende fermarsi. Vuole cavalcare il “modello Albania”, difenderlo e rilanciarlo. Alla vigilia del varo del provvedimento, prevale la sensazione che il testo conterrà direttamente la lista dei Paesi sicuri. Così, almeno, trapela a poche ore dal Consiglio dei ministri: fino all’ultimo tutto può ancora cambiare. Si tratterebbe di una forzatura nella forzatura, perché si definisce con un dl quello che una sentenza ha negato soltanto pochi giorni fa. E perché l’idea originaria era di lasciare alla Farnesina il compito di stilare l’elenco, dopo aver valutato gli alert su alcune aree di crisi. E invece sarà Palazzo Chigi, di fatto, ad assumersi questa responsabilità, ovviamente coordinandosi con Interni ed Esteri. È un dettaglio decisivo. Meloni prova a blindare il suo centro per migranti in Albania difendendo la possibilità di rimpatrio nei ventidue Paesi già considerati sicuri dall’Italia prima della sentenza della Corte europea. Alla Farnesina spetterà soltanto il compito di ospitare il lavoro di un comitato ad hoc per aggiornare i parametri che rendono sicuro un Paese. Questo potrebbe determinare in futuro una ridefinizione della lista. Ma anche in quel caso il via libera dovrà comunque arrivare da Palazzo Chigi: servirà infatti un nuovo decreto, cioè una norma di rango primario, per ritoccare l’elenco.

Una procedura complessa, dal significato politico: è l’esecutivo che stabilisce questi parametri e difficilmente intende tornare sui propri passi. Solo così, è il ragionamento di Meloni, si può garantire certezza al meccanismo degli hub oltreconfine, a partire da quello albanese. Ma questo approccio serve anche a perseguire un altro obiettivo: evitare che tra il primo pronunciamento sul diritto alla protezione internazionale di chi richiede asilo e l’eventuale ricorso sia concesso al migrante di restare libero di circolare in Italia. Il decreto Cutro prevede il trattenimento nei centri per le procedure accelerate di frontiera, ma il pronunciamento della Corte di giustizia Ue rischia di scardinare il meccanismo. Ma soprattutto, ha reso impossibile la permanenza dei migranti in Albania, dove non possono uscire dal centro. Non a caso, fatti rientrare in Italia proprio con la sentenza del tribunale di Roma. Il decreto con la lista dei Paesi sicuri mira proprio a difendere l’hub costruito sul territorio albanese, al momento di fatto inutilizzabile. È evidente che le prossime ore serviranno a chiarire il dettaglio del testo. Domattina si riuniranno i tecnici dei dicasteri, poi nel pomeriggio il Consiglio dei ministri darà il via libera al provvedimento. E si capirà quanto Palazzo Chigi intenda ascoltare l’auspicio del Quirinale, che invita informalmemente ad evitare conflitti con la magistratura. Ad ascoltare quello che ha in mente Meloni, però, non sembra questo il clima. Raccontano dal cerchio magico che la presidente del Consiglio è pronta anzi a rendere lo scontro con la magistratura sui migranti il terreno su cui rompere, strappare, lucrare consenso. Da portare addirittura a pretesto per poter eventualmente evocare le elezioni, se la situazione complessiva dovesse peggiorare (soprattutto a causa di una manovra senza risorse). E questo perché considera il progetto di un hub in Albania straordinariamente popolare, cioè vantaggioso per la destra. «Facessimo un referendum – è il senso dei suoi ragionamenti alla vigilia del Consiglio dei ministri – gli italiani sosterrebbero questo sistema a larga maggioranza».

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui