“Abbiamo difeso un pezzo di Costituzione a denti stretti e testa alta. Se Fca avesse vinto domani potevano essere licenziati anche i giornalisti Rai che fanno satira sul Governo Renzi. Ce l’abbiamo fatta, e con la nostra vittoria diamo un po’ di riscatto anche a Maria Baratto e Peppe De Crescenzo, che si sono uccisi per la mancanza di lavoro”. Lo hanno detto i cinque operai dello stabilimento Fca di Pomigliano d’Arco (Napoli), licenziati nel 2014 in seguito ad una manifestazione ritenuta offensiva dall’azienda, e per i quali la Corte d’Appello di Napoli ha disposto il reintegro in fabbrica ribaltando le sentenze del Tribunale del Lavoro di Nola, che aveva invece dato ragione al Lingotto. Mimmo Mignano, Marco Cusano, Antonio Montella, Roberto Fabbricatore e Massimo Napolitano, nel giugno del 2014 simularono il suicidio di Marchionne, con un manichino impiccato ad un patibolo davanti al polo logistico Fca di Nola, reparto nel quale lavoravano quattro dei cinque licenziati, e due operai morti suicidi. Pochi giorni dopo il suicidio di Maria Baratto, operaia del polo logistico in cassa integrazione da sei anni, le cinque tute blu inscenarono la manifestazione di protesta che portò al loro licenziamento. “La Corte d’Appello ha smantellato le tesi portate avanti da Fca – hanno spiegato i lavoratori – evidenziando le questioni sociali che portarono alla manifestazione, gli anni di precariato, suicidi e tentati suicidi di cassaintegrati. Abbiamo difeso non solo il nostro diritto alla satira, ma quello di tutti sulla libertà d’opinione, e abbiamo trovato l’appoggio di costituzionalisti, artisti, amministratori comunali, poeti, gente di cultura che ci è stata vicina. Stamattina è venuto un professore, un insegnante che ha voluto copie di giornali e la sentenza, perché, ci ha detto, doveva spiegare ai suoi ragazzi la difesa della Costituzione. Siamo contenti di poter essere utili anche ai giovani”.