Addio a Ciriaco De Mita. S’è spento all’alba di oggi l’uomo politico irpino, fu segretario politico della Dc, Presidente del Consiglio, più volte ministro della Repubblica (per il Mezzogiorno, il Commercio con l’Estero e dell’Industria) e sottosegretario, deputato ed europarlamentare. Il decesso stamane, a seguito delle complicanze successive ad un intervento chirurgico effettuato nel febbraio scorso, per la frattura di un femore. De Mita era rovinosamente caduto nella sua abitazione di Nusco. Sottoposto ad operazione per la riduzione della frattura, aveva avviato la rieducazione. Sono poi subentrati problemi di natura neurologica e cardiaca che lo avevano costretto al ricovero in ospedale, ad Avellino: pareva essersi ripreso, quindi il periodo di riabilitazione motoria, dallo scorso 5 aprile, presso una struttura sanitaria alla periferia del capoluogo irpino, “Villa dei Pini”. Qui si è verificato, all’alba di stamane, il decesso, dopo un peggioramento progressivo negli ultimi giorni. A dare la notizia della morte è stato il vicesindaco Walter Vigilante. De Mita, infatti, era sindaco del suo comune, Nusco, in Alta Irpinia. Sposato con Annamaria Scarinzi, aveva quattro figli – Antonia, Giuseppe, Simona e Floriana – e diversi nipoti a cui era legatissimo. Tra gli indiscussi protagonisti della vita politica italiana per circa 70 anni, Ciriaco De Mita aveva compiuto, lo scorso 28 febbraio, 94 anni. «Morirò democristiano», aveva detto tempo fa, e ribadito più volte, a testimonianza della coerenza del suo impegno politico da cattolico democratico. Anche la candidatura e l’elezione due volte, nell’ultimo periodo, a sindaco del comune di nascita, testimoniava – in età avanzata, e dopo una carriera ai massimi livelli del Paese e in Europa, la passione politica e la continuità – come amava ripetere – «di un impegno al servizio delle comunità». Era partito da Nusco – figlio di un sarto, Giuseppe, e di una casalinga, Antonia – per studiare all’università, a Milano, dopo la maturità classica ottenuta a Sant’Angelo dei Lombardi. Si formò alla Cattolica, grazie ad una borsa di studio, e si laureò brillantemente in Giurisprudenza. Dopo un breve periodo di pratica presso lo studio legale dell’Eni di Enrico Mattei, abbracciò definitivamente quella che sarebbe stata la passione della vita, la politica, che non avrebbe mai più abbandonato. Passione iniziata già ai tempi del liceo, a 16 anni, quando accese erano le sue discussioni con militanti comunisti.
Una vita da democristiano, si è detto. Risale al 1953 la sua adesione alla corrente della Sinistra di Base, divenendo consigliere nazionale della Dc al famoso congresso di Trento. Qui De Mita non risparmiò critiche a Fanfani e a quelle che erano le logiche organizzative del partito. Già da allora la vivacità del pensiero, la completezza di quelli che sarebbero stati poi definiti i «ragionamenti» di De Mita, fecero intuire che avrebbe fatto della politica non una stagione passeggera, ma il vero, grande impegno della vita. Una carriera politica quasi tutta percorsa, per molti anni, insieme ad un gruppo di amici dell’Irpinia: Nicola Mancino, Giuseppe Gargani, Gerardo Bianco, Salverino De Vito, Biagio Agnes e il giornalista del Mattino Antonio Aurigemma. Insieme furono definiti, dagli estimatori, «i fantastici 7», ma il gruppo fu anche descritto – ai tempi di critiche feroci – come «il clan degli avellinesi», a significarne l’elevatissima cifra di potere conquistata nel panorama politico nazionale con il passare degli anni. Nel 1963, venne eletto per la prima volta deputato della Repubblica nella circoscrizione Benevento-Avellino-Salerno. È rimasto in Parlamento ininterrottamente sino al 1994 e dal 1996 al 2008: nella Dc, nel Partito Popolare, nella Margherita, nell’Udc, nello schieramento da lui formato “Democrazia è libertà”. Aveva infatti lasciato il Partito Democratico, che inizialmente aveva sostenuto, per la mancata ricandidatura al Parlamento, all’epoca della gestione Veltroni. Nel lontano 1966, tre anni dopo il suo primo ingresso alla Camera, già ragionava di un accordo con i comunisti per un’intesa sull’ordinamento regionale e nel 1968 entrò per la prima volta al governo, come sottosegretario all’Interno. Vice segretario Dc con la segreteria Forlani, divenne segretario della Democrazia Cristiana, dal 1982 al 1989. Sette lunghi anni. Nel 1988 divenne Presidente del Consiglio, fino al 1989. Proprio il doppio incarico fu oggetto di critiche violente, tanto da determinare l’appellativo di «padrino della Dc». Gli successe Forlani alla guida della Dc, poi nel maggio 1989 le dimissioni da Presidente del Consiglio. Nella sua carriera è stato tra i fautori della elezione a Presidente della Repubblica di Francesco Cossiga (si parlò a tal proposito di metodo De Mita), della nomina di Romano Prodi a Presidente dell’Iri e a sostenitore – grazie ad una sincera amicizia personale – di Sergio Mattarella per il suo impegno politico in Sicilia per un’ opera moralizzatrice della Democrazia Cristiana ai tempi di Ciancimino. Apprezzato ovunque per la complessità e finezza del suo pensiero politico – oggetto anche della lotta al sistema democratico delle Brigate Rosse (pianse per l’uccisione del consigliere politico Roberto Ruffilli) – De Mita negli anni del dopo terremoto e della ricostruzione in Irpinia, e di Tangentopoli poi (per la sua amicizia con Callisto Tanzi), si attirò le critiche di chi lo accusava di politica clientelare, con un sistema di relazioni e raccomandazioni che sostenevano la gestione del potere, negli enti pubblici, nella sanità e nel giornalismo. Le accuse più accese e consistenti, soprattutto dal mondoi della sinistra, furono rivolte proprio all’azione politica svolta dopo il terremoto del 1980 per la concessione di fondi alle zone disastrate e agli sprechi che furono accertati nella ricostruzione pubblica e privata e di sviluppo industriale in Irpinia e Basilicata. La Commissione Parlamentare di inchiesta, guidata dall’ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, stimò in sessantamila miliardi di lire il costo del processo di ricostruzione.
De Mita ha attraversato la stagione del cattolicesimo democratico a tutto tondo, forte degli insegniamenti sturziani ed estimatore dell’azione politica di Aldo Moro. Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, dalla Margherita al progetto prodiano dell’Ulivo, fino al Pd e all’uscita dalla gestione veltroniana, con cadute cocenti (come la mancata elezione a senatore) ma anche clamorose prove di vitalità politica e intatto consenso elettorale. Negli ultimi anni, in Regione Campania, ha sostenuto l’elezione e l’azione politica di Vincenzo De Luca, con il quale non erano mancati in una prima fase contrasti. Uomo di profonda cultura, amava la discussione politica, che spesso condiva con analisi profonde e giudizi taglienti. Spesso imitato nel mondo dello spettacolo per la sua cadenza e pronuncia tipicamente nuscana, fu definito da Gianni Agnelli «un fine intellettuale della Magna Grecia». Negli ultimi mesi, prima della caduta nella sua abitazione, era stato in udienza privata da Papa Francesco, per oltre mezzora: «Abbiamo parlato della situazione politica, ma internazionale», aveva poi detto De Mita, cattolico convinto. Fino a qualche giorno fa, anche in clinica, scherzava con il personale sanitario che lo aveva in cura. Sognava e sperava, fino all’ultimo, di tornare nella sua Nusco, per riprendere una vita normale e l’attività di Sindaco. Si è spento proprio nel giorno dell’ottavo anniversario della elezione a primo cittadino del suo paese, avvenuta il 26 maggio 2014.