Una corona di alloro nel Bosco di Capodimonte a Napoli, per non dimenticare. In prossimità dela targa in memoria delle vittime delle Foibe e degli esuli che furono accolto a Capodimonte. A deporre la corona l’assessore del Comune di Napoli Marco Gaudini e il presidente del Comitato napoletano dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Diego Lazzarich, nel ‘Giorno del Ricordo’.
Migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, furono obbligati a lasciare la loro terra. Almeno 250mila. Molti altri furono uccisi dai partigiani di Tito, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati. Forse cinquemila le vittime, c’è chi sostiene che, invece, non furono meno di diecimila. Nel dicembre del 1945 l’allora primo ministro italiano Alcide De Gasperi presentò una lista con 2.500 nomi, deportati dalle truppe jugoslave, indicando agli alleati in 7.500 il numero dei deportati scomparsi.
Ed ecco come avvenivano le uccisioni: legati con un filo di ferro ai polsi, e posti sugli argini delle foibe, buche naturali profondissime. Poi partivano le raffiche di raffiche di mitra dirette ai prime condannati della catena umana, che cadendo in quelle buche profondissime trascinavano gli altri che, feriti più o meno gravemente, restavano in vita per giorni, o settimane, tra i cadaveri dei propri compagni di sventura. Con il trattato di pace di Parigi, 10 febbraio 1947, si stabilì il nuovo confine con la consegna alla Jugoslavia di Zara, della Dalmazia, delle isole del Quarnaro, di Fiume e dell’Istria. Poi tutto dimenticato. Per decenni. Poi l’istituzione, nel 2004, della Giornata del Ricordo. Per non dimenticare appunto. Perché non dimenticare la cattiveria umana è la maniera migliore per evitare che un passato crudele ed infame torni.