Alessandro Impagnatiello è stato condannato all’ergastolo per aver ucciso a coltellate la fidanzata Giulia Tramontano, di 29 anni, incinta di sette mesi, il 27 maggio 2023 a Senago, in provincia di Milano. Lo ha deciso oggi la Corte di Assise al termine del processo di primo grado per omicidio volontario pluriaggravato, interruzione di gravidanza non consensuale e occultamento di cadavere. Tutti i familiari di Giulia Tramontano si sono abbracciati e hanno pianto dopo la condanna di Alessandro Impagnatiello all’ergastolo, in particolare la madre della 29enne, Loredana Femiano, subito dopo il verdetto è scoppiata in lacrime ed è stata abbracciata dal marito Franco, dalla sorella di Giulia, Chiara, e dal fratello Mario. I giudici hanno condannato Impagnatiello all’ergastolo per l’omicidio pluriaggravato, non riconoscendo alcuna attenuante ed escludendo solo l’aggravante dei futili motivi, mantenendo quelle della premeditazione, della crudeltà e del rapporto di convivenza. La Corte ha anche riconosciuto il concorso formale tra l’omicidio e le altre due imputazioni di occultamento di cadavere e interruzione di gravidanza non consensuale, applicando oltre all’ergastolo anche 7 anni di reclusione per questi ultimi due reati. L’omicidio è aggravato dalla crudeltà, dai futili motivi e dal legame che univa Giulia e Alessandro. Inizia il processo. Il 18 gennaio davanti alla prima corte d’Assise di Milano, presieduta dalla giudice Antonella Bertoja, è presente la famiglia Tramontano – papà Franco, mamma Loredana Femiano, i fratelli Chiara e Mario -. In gabbia Impagnatiello tiene lo sguardo basso. Lontano dalle telecamere, vietate in aula, fa brevi dichiarazioni spontanee. «Ci sono tante persone a cui devo delle scuse, ma vorrei rivolgermi a Giulia e alla famiglia. Non ci sono parole corrette da dire, affronto una cosa che rimarrà per sempre inspiegabile per la disumanità. Quel giorno ho distrutto la vita di Giulia e di nostro figlio, quel giorno anch’io me ne sono andato perché non vivo più”. Le scuse non vengono accettate. L’interrogatorio in aula. Il processo che vede sfilare investigatori e familiari trova un punto centrale nell’interrogatorio dell’imputato. «L’ho colpita all’altezza del collo, solo in cella con un servizio in tv ho saputo di averle sferrato 37 colpi. Giulia non si è difesa» è il racconto di Impagnatiello. In aula aggiunge qualche dettaglio crudele – «Andrai a pranzo da mia madre e in auto c’era il cadavere» – e ammette il suo «castello di bugie» (per tenere in piedi due relazioni parallele), un mare «in cui sono annegato». Sostiene di aver avvelenato Giulia «solo due volte, nella prima parte di maggio, non per farle del male, ma per provocarle un aborto». Parla per ore, ma non sa fornire un movente: «E’ una domanda che mi sono fatto miliardi di volte e che non avrà mai risposta».
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