Un triage (dal francese “cernita, smistamento”) specializzato dovrà stabilire a quali pazienti dare la priorità per le cure intensive, in base a 12 criteri. In pratica sarà un algoritmo, in buona sostanza, a far decidere ad una equipe medica a chi continuare a garantire le cure e a chi no nel caso in cui le risorse disponibili non siano sufficienti per tutti. «Decisioni per le cure intensive in caso di sproporzione tra le necessità assistenziali e risorse disponibili in corso di pandemia da covid 19», è il titolo del protocollo stilato dalla Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva e dalla Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni, contenente le indicazioni per le cure dei malati Covid. Ed è, da qualche giorno, sul tavolo dei responsabili dell’Istituto Superiore di Sanità che stanno anche raccogliendo pareri. In buona sostanza, nel caso in cui le cure non possano essere garantite a chiunque precedenza a chi ha maggiori speranze di vita, anche se tutti gli altri pazienti, si legge nel protocollo, vanno comunque presi in carico con “gli strumenti possibili”, garantendo i “principi costituzionali di diritto alla tutela della salute. Sono 12 i parametri, attualmente all’esame dell’Istituto Superiore di Sanità, per una valutazione dello stato dei pazienti, a iniziare dall’età che non viene, comunque, considerato un elemento determinante. Una scelta che sarà fatta quando non sarà possibile fare altro, dopo aver tentato ogni cura possibile. Nell’introduzione del documento, Carlo Maria Petrini, direttore dell’Unità di Bioetica e presidente del Comitato etico dell’Iss, evidenzia come la deontologia medica ponga al centro il paziente privilegiando il criterio terapeutico. “Tuttavia – si legge ancora – vi sono situazioni in cui è impossibile trattare tutti. In questi casi la sola etica ippocratica risulta insufficiente. Occorre applicare il triage. E come ogni atto medico deve basarsi innanzitutto sui criteri di appropriatezza e proporzionalità”.
Tornando alla necessità di affidarsi ad un triage: se il paziente non risponde al trattamento la decisione di interrompere le cure intensive e di rimodularle verso le cure palliative non deve essere posticipata. La decisione di limitare le cure intensive, in fase di triade o in seguito, non deve essere affidata solo al medico. La decisione di d’esistenza da trattamenti futili deve essere condivisa da tutta l’équipe medico-infermieristica. E£d eccoli alcuni dei punti decisivi:
- numero e tipo di comorbilità (coesistenza di più patologie)
- stato funzionale pregresso e fragilità
- gravità del quadro clinico attuale
- presumibile impatto dei trattamenti intensivi, anche in considerazione dell’età del/la paziente
- La volontà del/la paziente riguardo alle cure intensive dovrebbe essere indagata prima possibile nella fase iniziale del triage.
- L’età deve essere considerata nel contesto globale del quadro clinico del paziente
Ecco, si potrebbe addirittura arrivare a dover riporre le proprie speranze di vita in un algoritmo. Ed i medici arrivare ad affidarsi ad esso per scegliere chi curare e chi lasciare andare. Ed allora una domanda sorge spontanea, tanto per ricorrere ad una frase famosa. “Ma il vero nemico contro cui combattere è il covid oppure la scarsità di mezzi? Intendiamoci, senza voler gettare la croce addosso a nessuno in particolare. O a tutti nel caso ci fossero responsabilità. Ma è possibile che su di popolazioni di milioni di persone i posti in terapia risultino essere poche centinaia? Il che potrebbe anche andare bene nell’ordinario, ma nello straordinario? E se dopo i protocolli si pensasse anche mettere la sanità di ogni regione nelle condizioni di portare, rapidamente e in caso di necessità, a migliaia i posti in terapia intensiva? Difficile? Forse, anzi sicuramente. Ma non è più complicato ritrovarsi nella condizione di dover fare i conti con un algoritmo per scegliere chi curare e chi abbandonare al proprio, tragico, destino?