Giorgia Meloni gela le ambizioni di Matteo Salvini di tornare al Viminale. Il vicepremier leghista, fresco di assoluzione nel processo per sequestro di migranti legato all’Open Arms, aveva iniziato a mandare segnali, da 48 ore: ieri aveva sostenuto che il Viminale è un posto stupendo», che sì c’è «un fratello» il prefetto Matteo Piantedosi a presidiarlo, che «per ora» non pensa di traslocare. Ma che «se qualcuno negli anni scorsi era convinto che non potevo tornare al Viminale perché ero un potenziale sequestratore e delinquente, adesso questa cosa cade». La premier infastidita – dicono fonti di maggioranza – per l’enfasi con cui il lumbard ha reso nota la telefonata di congratulazioni giudiziarie di Pier Silvio Berlusconi, prova invece a chiudere in fretta ambizioni e speculazioni. Senza renderlo un attacco frontale, sfoderando un sorriso appunto. In conferenza stampa davanti ai cronisti di 4 paesi, dice così: «Mi pare un fatto che l’oggetto del processo a Salvini fossero le sue scelte politiche, come ministro al tempo, piuttosto che effettivi reati e che la giurisdizione sia stata usata per condizionare la politica. Ma penso che oggi sia io che Matteo Salvini siamo contenti dell’ottimo lavoro che sta facendo l’ottimo ministro dell’Interno».
Dentro FdI già da ieri frenavano, sull’ipotesi di un ritorno del “Capitano” al Viminale, magari con l’attuale titolare, Piantedosi, candidato in Campania alle regionali del prossimo ottobre. Diversi parlamentari della fiamma la mettevano giù così: un ritorno di Salvini avrebbe regalato alla Lega un primato sulla lotta all’immigrazione clandestina, con possibile drenaggio di consensi verso il Carroccio a danno dei Fratelli, magari proprio quando dovrebbero finalmente funzionare, nell’ottica della premier, i centri in Albania oggi deserti e diventati, per l’opposizione, sinonimo di sperpero di denari pubblici.
Meloni parla anche di questo, in Lapponia, visto che uno dei temi del summit con Svezia, Finlandia e Grecia era proprio la gestione dei migranti. Le chiedono i cronisti: arriverà entro marzo la lista europea dei paesi sicuri, che sbloccherebbe i due centri di Shengjin e Gjader? «Servirà più tempo», risponde la presidente del Consiglio. «Stiamo avendo qualche problema nell’interpretazione delle regole» contenute nel protocollo con l’ Albania «ma li stiamo superando».
Per domani, annuncia, è convocato un vertice a Palazzo Chigi col Viminale e gli esperti della Farnesina, per capire come tenere in piedi il progetto, dopo la pronuncia della Cassazione. Riguardo la decisione delle toghe, Meloni prova a vedere il bicchiere mezzo pieno: «Mi pare – aggiunge – che la Cassazione abbia dato ragione al governo, è diritto del governo stabilire quali siano i paesi sicuri e poi i giudici possono entrare nel singolo caso, non disapplicare in toto il decreto del governo».