SAN CIPRIANO D’AVERSA – La rete di fiancheggiatori che ha aiutato il boss Nicola Panaro (leggi articolo) durante i sette anni della sua latitanza è stata ricostruita con intercettazioni telefoniche e ambientali, servizi di osservazione e pedinamento, interrogatori di collaboratori di giustizia, accertamenti patrimoniali e l’ analisi della grande documentazione, cartacea e informatica, sequestrata in occasione dell’arresto del Panaro. Dalle indagini è emerso che, oltre ai familiari, Panaro era aiutato anche da persone ritenute insospettabili in quanto completamente estranee a contesti criminali.
Tra gli arrestati c’è anche Raffaele Serao, dipendente dell’Ufficio Anagrafe del Comune di San Cipriano d’Aversa, accusato di avere rilasciato carte d’identità contraffatte con le foto di Panaro e della moglie e i dati anagrafici del fratello e della cognata dello stesso impiegato. In manette anche una maestra. Secondo l’accusa, grazie a questa rete di fiancheggiatori, nonostante la latitanza Panaro riusciva a muoversi sia in Italia, sia all’estero, facendo anche numerose vacanze con i familiari, fra le quali quella nel centro di Montecarlo. Panaro, inoltre – stando alla ricostruzione degli investigatori – riusciva inoltre a incontrare periodicamente i familiari in una villa con piscina (sottoposta a sequestro) a San Nicola Arcella (Cosenza). Tra i 14 destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere (una delle quali notificata a una persona già detenuta) vi è anche il figlio della proprietaria dell’abitazione di Lusciano (Caserta) dove Panaro fu scoperto e arrestato, che forniva al latitante apparecchiature tecniche per la bonifica da microspie.