Chiesa e pedofilia. Su molti casi ancora poca chiarezza. Per esempio una brutta storia di presunti abusi in una parrocchia di Ponticelli, a Napoli, rimbalzata solo nel 2014 dalla Segreteria di Stato alla Congregazione della Fede, dove ha terminato il suo periplo burocratico con una asettica formula notarile: «Non si ravvisano elementi tali da giustificare l’apertura di un procedimento canonico» nei confronti di un sacerdote sul quale pesano le accuse pesantissime della sua vittima, D.E. «All’epoca avevo 13 anni. Mi faceva tanti regali. Ero dominato dalla sua personalità, lusingato da questa amicizia. Quando succedeva ero impietrito, mi ha violentato, ho vomitato. Diceva che il mio seme lo aiutava a stare meglio, a curarsi. Solo a 16 anni mi sono sottratto a questo dominio, all’epoca non ne ho parlato con nessuno per vergogna». La curia di Napoli dopo avere svolto una prima indagine «per verificare la verosimiglianza delle accuse» ha fatto calare un velo sulla vicenda dando sostanzialmente poco credito al denunciante, causandogli persino la perdita del posto di lavoro per avere rivelato la sua identità attraverso un comunicato stampa, mentre don Silverio M., il prete accusato, veniva fatto trasferire «per un periodo di riposo e distacco» dalla parrocchia di Ponticelli e dalla scuola in cui insegnava religione, in una struttura religiosa top secret, tenuta nascosta a tutti. Si ipotizza che si tratti di una delle strutture dei padri Venerini dove vengono mandati dalle diocesi i preti pedofili a curarsi, ma non ci sono conferme. L’impressione è che non sempre le vittime vengano protette dalla Chiesa, ascoltate e tutelate come indicato da Papa Bergoglio e imposto da documenti e procedure canoniche. Così per il caso Ponticelli, considerando che, nel frattempo, sono affiorati dal silenzio altri ex bambini pronti a fare sentire la propria voce, anch’essi molestati, esattamente come D.E. Un caso non isolato. Le vittime pare siano molte di più e potrebbero presentarsi a ottobre alla seconda udienza nella causa civile di risarcimento avviata presso il tribunale di Napoli. La curia partenopea ha sempre respinto le accuse. Continuando a difendere don Silverio: «Ha sempre goduto della stima dei superiori». Inoltre, a sua tutela, mette in evidenza che la prima vittima, D.E. non si è mai voluta sottoporre ad una visita psichiatrica con un esperto di ricostruzione della falsa memoria e di vittimologia in grado di verificare le accuse e produrre una perizia condivisa. Cosa non vera, visto che la seduta, invece, avvenne nell’aprile del 2016. I legali dell’ex bambino raccontano che fu fatta nella clinica psichiatrica del Policlinico. Per tre ore il perito psichiatra di fiducia della curia, Antonio d’Ambrosio, utilizzando «metodi investigativi e metodologia poliziesca vecchio stile», avrebbe provocato «in maniera selvaggia la destrutturazione del periziando, volendo frantumare le sue difese faticosamente costruite». Questo scriveva il dottor Alfonso Rossi, lo psichiatra che aveva in cura D.E. e che per proteggere il suo paziente sconvolto da quell’esperienza gli impediva di prendere parte a una ulteriore seduta, fissata per il mese successivo.

 

 

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