“So quello che abbiamo scaricato e dove lo abbiamo portato. Ci sono i fanghi dell’Acna di Cengio, ci sono le ceneri dell’Ilva e la calce spenta dell’Enel, ma non ci sono rifiuti radioattivi”. Così il pentito Gaetano Vassallo, in una lunga intervista al Mattino dal carcere dove è rinchiuso, spiega come ha avvelenato la Campania con i rifiuti e accusa: “vent’anni senza controlli”. “Solo adesso sto rendendomi conto fino in fondo del disastro che abbiamo combinato”. Racconta di aver iniziato ad occuparsi di rifiuti nel 1980 spiega come, con l’emergenza dei rifiuti in Toscana nell’88-89 arrivarono i primi rifiuti da fuori regione: “i Comuni toscani si affidarono a trasportatori che avevano bisogno di buche e noi gliele offrimmo”. I proprietari dei terreni? “Sapevano che nei loro campi buttavamo rifiuti”. “Abbiamo smaltito gli acidi della Meri Bulloni di Castellammare”, “poi c’era la Ciba”. “Dai Pellini ad Acerra i fanghi sono stati diluiti nell’acqua e sparsi nei campi con gli irrigatori automatici”. Le società che si rivolgevano ai clan, “se avessero smaltito legalmente avrebbero speso quattro io cinque volte in più”. E spiega come, con l’emergenza monnezza, “per noi le cose sono andate meglio”. Racconta di aver sistemato nei consorzi “tutti i miei parenti”. “Come ex dipendenti del consorzio” “tutti i miei familiari hanno ricevuto il sussidio di disoccupazione”. E torna sui rapporti con la P2: “Cerci era amico di Gelli”. “Attraverso la massoneria garantiva anche sul versante politico con Perrone Capano, che avrebbe dovuto dare le autorizzazioni”. Infine spiega quando ha deciso di collaborare con la giustizia: nel 2008 “ho saputo” che Setola “voleva uccidermi”. “A farmi decidere è stato mio figlio”.

 

 

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