Nella città di Napoli «gli equilibri criminali costituiscono sempre espressione di un più ampio progetto riconducibile a due sole organizzazioni criminali: l’Alleanza di Secondigliano e il clan Mazzarella». È quanto riportato nella relazione semestrale della Dia nella sezione dedicata alla criminalità organizzata campana. Alleanza di Secondigliano e clan Mazzarella, si legge, «dettano le linee guida alle associazioni aderenti le quali, pur essendo dotate della piena autonomia nella gestione degli affari interni, non possono sottrarsi all’influenza dei due cartelli egemoni». Nella confederazione dell’Alleanza di Secondigliano i clan Contini, Licciardi e Mallardo «costituirebbero oggi significative realtà imprenditoriali, controllando catene di ristorazione e attività commerciali in gran parte del territorio cittadino». Il clan Licciardi ha però subito un duro colpo con l’arresto di Maria Licciardi, reggente del sodalizio, avvenuto ad agosto 2021 a Roma. Di contro, il clan Mazzarella «con una politica di espansione attraverso una rete di alleanze anche nella provincia napoletana contaminerebbe quelle porzioni di territorio rimaste orfane degli storici clan collassati a causa dei numerosi arresti subiti». I due grandi cartelli «potrebbero riuscire ad influenzare le dinamiche di tutta la città e della periferia di Napoli spingendosi verso gli immediati paesi vesuviani, mentre il clan Amato-Pagano confermerebbe di detenere un ruolo di assoluta centralità nel settore dell’approvvigionamento delle sostanze stupefacenti avendo ristabilito gli equilibri con le altre compagini grazie anche al potere derivante dalla gestione di importanti canali del narcotraffico». Nella relazione sono riportate le mappe investigativo-giudiziarie delle alleanze di camorra a Napoli elaborate dalla Procura e dalle forze dell’ordine partenopee, presentate in occasione del convegno «La città e la camorra – Napoli e la questione criminale» organizzato proprio dalla Procura di Napoli e dal Laboratorio interdisciplinare di ricerca sulle mafie e la corruzione dell’Università Federico II. Le mappe, si sottolinea nella relazione della Dia, «restituiscono l’immagine della camorra organizzata in un vero e proprio sistema, basato su stratificati e complessi livelli decisionali, su una struttura criminale consolidata sul territorio e dotata di un direttorio per la gestione e il coordinamento dei gruppi subordinati».
I clan camorristici «evidenziano una straordinaria flessibilità e capacità rigenerativa, nonché la spiccata attitudine al controllo di mercati illegali e all’espansione di una capillare rete di imprese che altera pesantemente i meccanismi dell’offerta di beni e di servizi. La vocazione imprenditoriale dei gruppi consente loro di insinuarsi negli apparti pubblici monopolizzando la gestione delle forniture e condizionando le procedure di gara attraverso legami con le amministrazioni locali ottenuti anche mediante una elevata capacità di pressione». L’attività dei clan di camorra nella provincia di Caserta «continua a sussistere grazie a quegli imprenditori da sempre abituati ad avvalersi della mediazione dell’organizzazione criminale e dei consistenti capitali investiti nelle attività imprenditoriali dai clan che, in tal modo, governano direttamente o indirettamente alcuni processi economici, interferendo spesso pesantemente anche nei meccanismi decisionali della pubblica amministrazione». È quanto si legge nella relazione semestrale della Dia nella parte relativa alla criminalità organizzata in Campania e, in particolare, alla provincia casertana. Le più recenti attività investigative confermano «l’elevata capacità di penetrazione nella cosa pubblica della criminalità casertana e in special modo quella riconducibile al cartello dei Casalesi al fine di inserire proprie aziende in comparti strategici come quelli della grande distribuzione, del ciclo dei rifiuti e della raccolta delle scommesse. Non di rado imprenditori collegati alla criminalità organizzata interagirebbero direttamente con funzionari infedeli della pubblica amministrazione in una prospettiva di comune profitto specialmente negli appalti per la realizzazione delle grandi opere». Alcuni dei clan presenti nella provincia di Caserta, spiega il rapporto Dia, sono aggregati «in una sorta di federazione riferita ai Casalesi», ma i componenti del cartello criminale «non possono oggi essere considerati come fenomeno unitario, quanto piuttosto come intranei a un’organizzazione non conflittuale composta da famiglie storiche e tuttora vitali dell’area casertana. Ciascuna consorteria avrebbe continuato a mantenere sul proprio territorio di riferimento una forza intimidatrice capace di garantire la rispettiva continuità operativa». «Questa attitudine, che trova conferma nell’elevato numero di provvedimenti interdittivi antimafia emessi dalle Prefetture nel periodo in esame in Campania – viene evidenziato -, consente alle consorterie di mimetizzarsi nei tessuti produttivi ove più lucrosa è la commistione tra leadership criminale e management aziendale. Le operazioni concluse nel semestre hanno inoltre rivelato come anche i clan napoletani sarebbero interessati al remunerativo commercio illecito di carburanti e non avrebbero esitato ad allearsi con compagini calabresi e siciliane per massimizzare gli investimenti effettuati in società petrolifere intestate a prestanome».