“Stavolta tocca a me!”. “Ma quando mai, qui ci sto io!”. “Ve lo potete scordare, spetta a me!”. “Perdete tempo, è il mio turno!”. Neanche il tempo di annunciare su Campania Notizie le sue dimissioni in caso di condanna che nella maggioranza è scoppiata una guerra all’ultimo sangue per la successione ad Angelo Brancaccio. Da allora lo sport più praticato ad Orta di Atella è la corsa alla candidatura a sindaco. E col passare dei giorni ai nastri di partenza si ammassano sempre più corridori. Un mucchio selvaggio. Tutti si guardano in cagnesco. Si agitano. Tramano. E non mancano reazioni isteriche. Ai limiti della follia. L’occasione è ghiotta. Senza Brancaccio in campo, la poltrona di aspirante primo cittadino è lì alla portata. Basta spuntarla. Battere la concorrenza. Che però è spietata. Al momento (ma è solo l’inizio) con il coltello tra i denti ci sono Giuseppe Mozzillo, Alfonso Di Giorgio, Luigi Ziello, Andrea Villano e Giovanni Migliaccio. Mozzillo si considera l’erede naturale di Brancaccio. È l’attuale vicesindaco. E secondo lui 1+1 fa 2, quindi la soluzione è scontata. Anche Di Giorgio la mette sul piano politico. E in sintesi dice: “Io sono il capogruppo della maggioranza, per cui la candidatura spetta a me”. Ziello invece porta sul tavolo il presunto valore aggiunto suo e del Partito socialista. E vuole la poltrona di Brancaccio. Poi ci sono Villano e Migliaccio, entrambi organici alla maggioranza e con “tradizioni familiari sindacali”. In passato i genitori sono stati primi cittadini ortesi. Una poltrona per cinque. Ma il numero dei pretendenti è destinato a salire vorticosamente. E se si continua di questo passo ci potrebbero essere più candidati sindaco che elettori. Insomma, molti dei suoi amici(?) sono sulla riva del fiume in attesa del “cadavere” di Brancaccio. Pensare che il primo cittadino ha “solo” anticipato che se fosse condannato si dimetterebbe immediatamente. Immaginate che sarebbe successo se avesse anche detto che sicuramente non si candiderà alle prossime comunali. Nella maggioranza già ci sarebbero morti e feriti.
Mario De Michele