Scatto l’ora X per Eugenio Di Santo. Il prossimo 19 febbraio la Cassazione si pronuncerà sul ricorso presentato dal sindaco di Sant’Arpino contro la condanna irrogata dal Tribunale Napoli Nord a maggio dell’anno scorso. Il primo cittadino ha patteggiato un anno e sei mesi, con pena sospesa, per tentata concussione ai danni del titolare della ditta che gestiva il servizio di refezione scolastica. Secondo il suo legale Giuseppe Stellato la sentenza è nulla per la modifica della “qualificazione giuridica del fatto”. Il noto penalista ha chiesto l’annullamento per “abnormità del decreto di giudizio immediato”. Dopo gli arresti domiciliari disposti dal Tribunale, su richiesta del pm, il 18 dicembre 2013, il difensore di Di Santo presentò istanza di scarcerazione al Riesame, che confermò la misura cautelare ma derubricò il reato a tentata concussione per induzione e non per costrizione, come invece aveva chiesto l’accusa. Nel marzo 2014 il Gip dispose il rito immediato. E questo è il principale punto contestato dall’avvocato Stellato. “La modifica in ordine alla qualificazione del fatto – si legge nel ricorso depositato in Cassazione – non consentiva l’accesso al giudizio immediato, il cui presupposto è per un verso l’evidenza della prova e, per l’altro, l’interrogatorio dell’indagato/imputato in ordine al fatto oggetto di contestazione”. Secondo il suo legale, Di Santo non è stato messo nelle condizioni di esercitare il suo diritto a difendersi dalle accuse, in quanto “in sede di interrogatorio di garanzia si è avvalso della facoltà di non rispondere”, ma – si evidenzia nel ricorso – in quel momento storico era accusato di tentata concussione per costrizione. Con la mutazione dell’ipotesi di reato (induzione) la decisione di procedere con il rito immediato “viola la legge oltre che essere affetta da abnormità”. Il difensore del sindaco di Sant’Arpino ha insistito su questo punto: “Risulta inammissibile una richiesta di giudizio immediato per omesso interrogatorio in relazione al fatto per il quale la persona sottoposta alle indagini si trovi in custodia cautelare al momento della richiesta stessa, essendo anche in tale caso necessario l’espletamento dell’interrogatorio sul fatto”. Se il ricorso, che è un capolavoro giuridico, presentato dall’avvocato Stellato, fosse accolto (ipotesi improbabile) la sentenza verrebbe annullata. E inizierebbe il processo ordinario a carico di Di Santo. Solo in questo caso il sindaco salverebbe la poltrona. Altrimenti dovrebbe fare le valigie e tornare a casa. La sentenza diventerebbe definitiva con la conseguente decadenza dalla carica di sindaco. Insomma, la sorte amministrativa del primo cittadino è appesa a un filo. Ma anche qualora Di Santo dovesse superare lo scoglio della Cassazione, sul suo cammino resta l’ostacolo, a nostro avviso insormontabile, dell’opportunità politica e istituzionale di restare al suo posto dopo una condanna per un reato gravissimo. Certo, se la Suprema Corta annullasse la sentenza, ci sarebbe la presunziona di innocenza fino al terzo grado di giudizio (anche se le intercettazioni lasciano pochi dubbi). Ma bisogna distingure il piano giuridico da quello politico-istituzionale. Di Santo ha patteggiato un anno e sei mesi per aver pressato Francesco Mottola, titolare della “Marty Srl”, ditta che si era aggiudicata l’appalto per la mensa dell’Istituto scolastico comprensivo, affinché gli venisse regalato un braccialetto di diamanti dal valore di due-tremila euro. E ancora oggi il Comune di Sant’Arpino è famoso per il “Tennis”. Non inteso come sport. Purtroppo.
Mario De Michele