Dino Maglio, o Leonardo, come gli piaceva farsi chiamare, di giorno era un carabiniere, di notte uno stupratore seriale. A l lavoro la divisa, a casa la violenza. Era iscritto su Couchsurfing, un sito che permette di trovare e offrire ospitalità gratuita per viaggiare nel mondo.

Giocava all’ospite perfetto, ma, come un ragno che tesse la tela, aspettava paziente le sue vittime, poi le tramortiva con una droga, e le violentava. Lo accusano 16 ragazze, tutte giovanissime e tutte entrate in contatto con lui tramite lo stesso sito. Ora il carabiniere è detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. E qui conta i giorni che lo separano dall’inizio processo, fissato per il 17 marzo a Padova, teatro dei fatti. Le indagini sono scattate un anno prima. L’uomo di 35anni è stato accusato di avere stuprato una minorenne australiana. Il sostituto procuratore Giorgio Falcone gli imputa di avere commesso atti sessuali «con l’aggravante di aver somministrato presunte sostanze narcotiche, nonché di aver abusato della relazione di ospitalità». Perché la trappola scattava sempre dall’offrire alloggio nella città veneta, ambita dai turisti di tutto il mondo. Charlotte (i nomi delle vittime sono di fantasia), all’epoca sedicenne si era recata nell’abitazione di Maglio con la madre e la sorella minore. È stata la donna ad accorgersi che era successo qualcosa di grave. Era andata a dormire lasciando la figlia che conversava con Dino: un agente delle forze dell’ordine, di cui si fidava. All’alba però trova Charlotte in camera con l’uomo, senza mutandine, in uno stato letargico. Capisce al volo. Trascina fuori la figlia, e corre a fare denuncia a Venezia. Maglio viene ammanettato. Ammette di avere fatto sesso, ma, si difende, consenziente. Charlotte però agli inquirenti racconta ben altro, parla di uno stupro e spiega di non essere riuscita a reagire, come bloccata da qualche droga. Non è stato l’unico caso. Altre quattordici vittime sono entrate in contatto con il centro di giornalismo d’inchiesta Irpi (Investigative Reporting Project Italy). Sette di loro, assistite dagli avvocati Boris Dubini e Gian Marco Rubino di Milano, hanno deciso di sporgere denuncia formale. Le altre hanno comunque accettato che la loro storia venisse resa pubblica. Sono tutte straniere, tutte finite in trappola attraverso il sito dello scambio di ospitalità.

 

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