Un’azienda in lenta agonia, finita nel vortice di una lunga diatriba giudiziaria che vede contrapporsi le ragioni della produzione, rappresentate da un’impresa familiare fino a pochi giorni fa tra le maggiori fornitrici di latte alla Parmalat nel Casertano, e l’interesse della collettività, che un Comune, quello di San Potito Sannitico, è intenzionato a far valere creando nell’area aziendale, che sorge a pochi passi dall’area protetta del Parco Regionale del Matese, un polo agroalimentare. L’azienda, che ha il nome dei gestori Anna Altieri e dei figli Carmine e Marcellino Crispino ed è ubicata nella cosiddetta area ex Gezoov (acronimo di Generale Zootecnica Volturno), ha 1200 capi tra bovini e bufalini e anche tanti “maialini neri casertani” ma il 12 marzo scorso è stata sfrattata dal Comune che ha eseguito una sentenza del 2008; da allora qualche animale è deceduto, sebbene per l’Asl si tratti di morti naturali, e la Parmalat, con una nota inviata al Comune il 31 marzo, ha disdetto il contratto di fornitura che doveva essere rinnovato il primo aprile. Il direttore Acquisti Latte della multinazionale emiliana Gabriele Orzi si è tirato fuori dalla contesa rifiutandosi di pagare il Comune che il 24 marzo scorso aveva scritto alla società ponendosi come nuovo fornitore. Oggi il latte va alla centrale Mia Latte di Sant’Antonio Abate (Napoli). Dalla sua l’amministrazione ha una sentenza della sezione agraria del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che sette anni fa ordinò il rilascio da parte dell’azienda di allevamento dell’area da 270mila metri quadrati che il Comune aveva acquisito nel 1998 dalla San Simeone srl, allora proprietaria del fondo. I titolari dell’allevamento non riuscirono a far valere il diritto di prelazione e dal 1998 hanno iniziato una lunga battaglia giudiziaria contro il Comune culminata con lo sfratto del 12 marzo scorso quando l’ufficiale giudiziario si è presentato accompagnato dai Carabinieri e dal personale della Forestale; i fratelli Crispino si sono incatenati ai cancelli e sono stati condotti in caserma, calmati e rilasciati. Il 22 marzo hanno poi presentato, attraverso l’avvocato Francesco Piccirillo, denuncia alla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere chiedendo il sequestro dell’area e accusando il custode, il sindaco Francesco Imperadore, di averli estromessi dalla conduzione dell’azienda senza dar loro il tempo di trasferire macchinari e animali, di non aver assistito i capi e di averli nutriti con fieno avariato. Il primo cittadino ribatte che “il Comune ha vinto giudizi civili e amministrativi fino all’ultimo grado; i titolari dell’azienda, dopo l’acquisto dell’area da parte del Comune per 1,2 milioni di euro, non hanno pagato alcun canone di fitto ed erano insomma ‘occupanti sine titulo’; inoltre hanno avuto anni per trasferirsi altrove ma non l’hanno fatto. Per me conta solo l’interesse della cittadinanza”. Il prossimo nove aprile il tribunale civile si pronuncerà sull’opposizione allo sfratto anche perché secondo l’avvocato civilista della famiglia, Vincenzo Petrella, il Comune si sarebbe appropriato di un’area più estesa di quella di cui aveva diritto. I Crispino sostengono inoltre di aver speso quasi 700mila euro per bonificare parte dell’area su cui insisteva dell’amianto. Il Comune ha invece deliberato ben due progetti per l’area: il primo, datato 20 giugno 2013, che prevedeva una stazione ecologica per un investimento di 488mila euro, il secondo del 12 novembre 2013, che mira a realizzare un Polo Agroalimentare. “Il progetto della stazione ecologica è stato abbandonato – dichiara oggi il sindaco – l’isola ecologica di San Potito resterà a ridosso del campo sportivo vicino al centro abitato. Nell’area sfrutteremo i capannoni per darli in gestione gratuita per 99 anni ad imprenditori privati impegnati nel settore della trasformazione di prodotti agricoli”.

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