Cosa è successo quella sera in via Leopardi? «Ero andato per riscuotere, era la seconda volta dopo il 22 settembre, quelli avevano aperto il negozio e dovevano mettersi a posto con noi, con gli amici di Fuorigrotta. Dovevo essere convincente. Ho impugnato l’arma, sono entrato in auto con la pistola in pugno, tanto che devo aver impressionato quelli che mi stavano aspettando. Ho capito che erano armati, pensavo fossero dipendenti del negozio armati e ho capito che ero finito in trappola. Così ho sparato. Ho perso il controllo, sì ho perso il controllo, ma non volevo uccidere, mi sono sentito in trappola e ho fatto un guaio grosso». Raffaele Rende, dinanzi a pm e agenti della Mobile, non si avvale della facoltà di non rispondere, accetta di fornire la sua versione. È accusato di duplice tentato omicidio, tentata estorsione aggravata dal fine mafioso, resta fermo su quanto avvenuto giovedì notte. Gli spari, i colpi che centrano la nuca il poliziotto sotto copertura, l’agente della Mobile Nicola Barbato. Ricorda la sensazione di essere finito in trappola, il panico e l’indice della mano destra che scatta a ripetizione dentro e fuori l’auto civetta della polizia. «Sì, d’accordo ero armato, ma non potevo fare diversamente. Dovevo essere armato, perché era per noi la seconda bussata di porte, quelli dovevano capire…».