Precipita la crisi ungherese, allarme in Europa e sui mercati mondiali. Il fiorino, la valuta magiara, va sempre più a picco, oltre i 320 fiorini per un euro (a metà mattinata il nuovo record era 324,07), i tassi che lo Stato ungherese deve pagare a chi sottoscrive i suoi titoli sovrani, quindi per rifinanziare il suo alto debito pubblico,

sono ormai saldamente oltre il 10 per cento, il credit default swap vola a quota 745. E stamane l’asta dei bond è andata malissimo: sono stati venduti titoli per 35 miliardi di fiorini contro i 45 miliardi programmati, con i tassi di quelli annuali che hanno raggiunto il 9,96% contro il 7,91% del 22 dicembre scorso. Il governo del premier autoritario di destra Viktor Orbàn si sente con le spalle al muro e chiede un’intesa-lampo con il Fondo monetario internazionale (Fmi) e l’Unione europea: senza il credito richiesto da Budapest, tra 15 e 20 miliardi di dollari, l’Ungheria rischia un default in corsa.

Ma il negoziato era stato sospeso da Fmi e Ue dopo l’entrata in vigore della nuova legge ungherese 1 che riduce gravemente l’autonomia della Magyar Nemzeti Bank, la banca centrale, in violazione dei Trattati europei e delle norme internazionali. I dati peggiorano di ora in ora, la situazione minaccia di diventare incontrollabile. Gli interessi sui titoli sovrani sono saliti stamane al 10,9 per cento, guadagnando circa un punto e mezzo rispetto a ieri. Un tasso così alto significa che l’Ungheria non potrà più permettersi di ripagare il suo alto indebitamento. Mentre il totale del debito pubblico è salito all’82,6 per cento del prodotto interno lordo, e la crescita del prodotto interno lordo – dopo il deludente 1,6 per cento dell’anno scorso – sembra oscillare tra stagnazione e rischio di recessione.

Secondo il quotidiano liberalconservatore (e vicino al governo) tedesco Die Welt gli investitori internazionali già elaborano scenari di bancarotta magiara entro un mese, che avrebbe pesantissime conseguenze per le banche di tutta Europa: austriache e tedesche, ma anche Unicredit. “L’Ungheria ha bisogno di un accordo al più presto possibile con il Fmi e con la Ue per la concessione di un prestito”, ha avvertito stamane il capo negoziatore magiaro, Tamas Fellegi. Ha così smentito la trionfalistica arroganza del premier Orbàn, il quale finora ha ignorato moniti e critiche europee e del Fmi.

Ma per Orbàn, alle strette anche sul fronte interno dopo la grande manifestazione di protesta di lunedì 2, la situazione è sempre più critica. Ieri sera la Commissione europea aveva infine alzato la voce 3, avvertendo di aver avviato un esame approfondito della situazione per valutare se l’Ungheria sia da considerarsi ancora democrazia oppure dittatura. Budapest è membro dell’Unione europea dal 2004.

Secondo molti osservatori, se chiedesse adesso di entrare in Europa, dopo le svolte autoritarie volute da Orbàn (nuova Costituzione, legge-bavaglio sui media, limitazioni pesantissime dell’autonomia di Banca centrale, Giustizia, Corte costituzionale, occupazione delle istituzioni da parte della Fidesz, il partito del premier) non avrebbe più le carte in regola rispetto a Trattati, principi e Carta dell’Unione europea stessa.

 

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