Napoli è una città stanca, ma ancora piena di forza. E’ questo che il corteo di ieri, in memoria di Maikol Giuseppe Russo, Genny Cesarano, Nicola Galletta e tutte le altre vittime innocenti di camorra ha voluto gridare con determinazione. E l’ha fatto  da quello che il 31 dicembre scorso è divenuto l’ennesimo luogo di morte: piazza Calenda, alll’esterno del bar dove Maikol Giuseppe Russo è stato freddato, per errore,  da un colpo di pistola alla testa, a due passi dal teatro Trianon, nel quartiere Forcella.

In quella piazza si trova il bar dove ancora lavora il fratello che, la notte di capodanno, il giovane ventisettenne stava attendendo all’esterno per rientrare insieme a casa. Poi il rumore dei colpi, il cadavere del giovane steso in terra ed a casa nessun ritorno, solo una moglie e due figli ad aspettarlo. Non solo. Maikol, che alcuni giornali si sono tendenziosamente affrettati a descrive come un possibile affiliato ai clan, si occupava di altri due bambini rom del quartiere, portandogli cibo e vestiti ed accudendoli come fossero figli suoi.

Il Gigante Buono, così veniva chiamato a causa della sua stazza e del suo carattere pacifico, vendeva calzini. Era il classico venditore “abusivo” che ti infastidisce o ti rallegra in una giornata qualunque mentre cammini pensando ai fatti tuoi. Per lo Stato era semplicemente un abusivo da riempire di multe e denunce ad ogni buona occasione. Per il quartiere Forcella, nel quale era nato e cresciuto, era invece un ragazzo d’oro che pur di non delinquere s’era messo per le strade a rincorrere gente, raccogliendo più rispostacce che soldi.

A ricordarlo così è anche Enzo, detto “Enzolone”, suo compagno di strada e di lavoro. Da tre anni dividevano lo stesso marciapiede, la fatica, la paura di non poter pagare l’affitto a fine mese e la speranza di farcela, sempre e comunque, contando solo sulle proprie forze. Purtroppo – ci ha detto – in questa città quando la sera torniamo a casa possiamo solo ringraziare Dio per aver visto la fine di un’altra giornata. Maikol era un figlio, un marito ed un padre e l’unica cosa a cui pensava era mandare avanti la famiglia. Hanno ucciso tre persone in una. Qualcuno ci spiegasse come dobbiamo andare avanti.

Al corteo era presente anche Antonio Cesarano, padre di Genny, caduto anche lui sotto i colpi di pistola di un gruppo di infami pistoleri contemporanei, il settembre scorso, in piazza San Vincenzo alla Sanità. Anche in quel caso il povero diciassettenne nulla aveva a che fare con camorra o baby gang. “ Ho dovuto lottare molto per far si che il nome di mio figlio non venisse infangato – ci ha detto Antonio – hanno provato da subito ad affibbiargli l’etichetta di pregiudicato e malavitoso, un po’ come hanno fatto con Maikol. La verità è che erano bravi ragazzi, caduti in una guerra che non gli è mai appartenuta, colpevoli, forse, solo di essere nati nel quartiere sbagliato. Noi, come Popolo in cammino, l’associazione nata dopo la tragedia di Genny, pensiamo che la camorra si vinca solo con le politiche sociali, portando in questi quartieri lavoro, istruzione, cultura e garantendo i diritti primari.

Si è colta l’occasione del corteo anche per denunciare la chiusura del Trianon, storico teatro del quartiere Forcella, da tempo al centro di “giochetti” politici e di promesse che raggiungono puntualmente l’apice durante le campagne elettorali.

Era presente anche Don Berselli, parroco di Forcella, che nei giorni scorsi in un’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica aveva lanciato una provocazione, sostenendo che “Dovremmo imparare dalla camorra che si prende cura dei detenuti, delle famiglie, di chi non ha lavoro. Ci sarebbero diverse cose da prendere ad esempio, con un substrato morale completamente diverso”. Durante il corteo, questa volta, ha semplicemente ricordato come a Napoli fatti del genere sembrino la normalità. Un po’ come a dire che Napoli è in guerra. Ma non si tratta di una guerra a bassa intensità, silenziosa. No, questa è una guerra che fa rumore, morti, lasciando dietro di se una scia di dolore e disperazione. Che si tratti di camorra organizzata o di baby gang impazzite alla ricerca di potere poco cambia. Violenza e sopraffazione si nutrono da sempre di mancanze che a Napoli sono la regola.

Forcella, come tanti altri quartieri, ha un tasso di disoccupazione altissimo, un’alta percentuale di dispersione scolastica e, come se non bastasse, sta assistendo allo smantellamento di presidi ospedalieri contro ogni logica di tutela del diritto alla salute. Il corteo di ieri è stato l’ennesimo grido d’allarme e di rabbia contro la camorra ma anche contro l’assenza delle istituzioni. complici e colpevoli della creazione di sacche di marginalità sempre più consistenti in questa bellissima e disgraziata metropoli del sud.

 

Luca Leva

Giulia Ambrosio

 

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