La Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha portato al termine un’importante indagine individuata con la denominazione “Fauna sicura”, le cui attività investigative sono state compiute dalla polizia giudiziaria del Corpo Forestale dello Stato del Comando Provinciale di Caserta, sul fenomeno illecito del bracconaggio dietro il quale si nasconde un enorme giro d’affari. I Parchi e le Riserve Naturali sono presi di mira dai bracconieri più spregiudicati che, cacciando in questi luoghi, mostrano una totale indifferenza alle norme di salvaguardia poste a tutela delle aree di protezione, un luogo sicuro dove gli animali selvatici dovrebbero essere protetti integralmente e vivere indisturbati ai fini della conservazione della specie. Le indagini espletate hanno evidenziato che la metodologia utilizzata nelle aree protette sui cinghiali è particolarmente spregevole: la tecnica consiste nel braccare la selvaggina tramite l’utilizzo di cani da caccia di razza segugio allo scopo di “stanarla” dai luoghi che dovrebbero essere sicuri, in quanto ricadenti in zone oggetto di protezione, per favorirne lo spostamento in aree dove la caccia è consentita e procedere ad un facile e legale abbattimento. Infatti, la selvaggina così braccata non ha alcuna possibilità di scampo in quanto, fuggendo dai cani segugio, viene spinta dalle aree protette nelle zone in cui l’attività venatoria è consentita, fino ad arrivare alle “poste”, dove troverà morte certa sotto il tiro incrociato di chi è appostato e pronto ad abbattere i malcapitati animali. La selvaggina è ovviamente commercializzata “a nero” sul mercato, sottratta ai controlli sanitari, oltre che a quelli tributari. Un sistema illegale, quindi, che “sfugge” al fisco e che, aspetto più grave, tocca il delicato tema della sicurezza agroalimentare, un argomento che riveste priorità assoluta in quanto riguarda il valore della qualità del cibo e della salute umana. Nei periodi dell’anno, in cui la caccia non è consentita, i cacciatori di frodo esercitano l’illecita attività nelle zone umide e sulle spiagge, facendo strage di uccelli acquatici, che dal mese di marzo iniziano a migrare per raggiungere gli areali di nidificazione. Tale reato viene perpetrato mediante l’utilizzo di mezzi non consentiti particolarmente “naturalizzati”: a tal proposito i bracconieri hanno creato le cosiddette “vasche”, ossia dei laghetti artificiali con annesso bunker interrato in cemento o in ferro munito di copertura scorrevole, ove i cacciatori di frodo si nascondono e si posizionano per fare strage di fauna selvatica dai richiami acustici, che riproducono fedelmente il verso dei volatili. Dietro questa forma di bracconaggio si nasconde un’economia sommersa in quanto le vasche vengono affittate ad un costo che oscilla dai 12.000 ai 40.000 euro all’anno, naturalmente non tracciabili e, anche questa volta (come per la caccia di frodo a cinghiali) sottratti al fìsco: somme che, moltiplicate per il numero di vasche presenti sul territorio, fanno emergere un giro d’affari che si ipotizza sfiorare il milione di euro. L’operazione, denominata “FAUNA SICURA”, ha portato complessivamente alla denuncia di 16 persone, al sequestro di 15 fucili, spesso modificati dai bracconieri per renderli maggiormente offensivi, quasi 1000 cartucce cariche, svariate decine di richiami acustici, stampi in plastica riproducenti uccelli acquatici, due bunker (appostamenti fissi di caccia), numerose specie di anatidi abbattuti, tra cui marzaiole. In particolare, durante un servizio è stata rinvenuta, addirittura, un’arma artigianale, composta da due tubi in ferro, di cui uno munito di percussore: ingegno a cui il bracconiere ricorre spesso quando è colpito da un provvedimento di ritiro del porto d’armi. Va precisato, infine, che il sequestro del bunker risulta fondamentale in termini di contrasto al fenomeno illegale in quanto trova fondamento nell’esigenza di sottoporre a vincolo di indisponibilità il manufatto, evitando che possa continuare ad essere utilizzato per la pratica illecita del bracconaggio. Nella giornata del 13 giugno u.s., durante un servizio espletato nei boschi del comune di Treglia, sono state rinvenute numerose trappole, realizzate dai bracconieri tramite l’utilizzo di cavi in acciaio a forma di laccio: l’animale, passando attraverso il laccio ne viene intrappolato e soffoca, in quanto più si dimena nel tentativo di liberarsi, più il laccio si stringe, provocandone la morte lenta e crudele o gravissime lesioni. Proprio questo è accaduto ad un cucciolo di cinghiale che, intrappolato in un laccio, era prossimo alla morte; solo l’intervento degli uomini del Corpo Forestale, che lo hanno liberato, ha evitato il peggio. L’animale, gravemente ferito, è stato immediatamente soccorso e trasportato presso il Centro di Recupero di Fauna Selvatica “II Frullone ” di Napoli, mentre il bracconiere è stato deferito all’Autorità Giudiziaria.