«Siamo nella fase acuta del trauma, quindi adottiamo un intervento contenitivo, lasciando parlare la bambina, cercando di non suscitarle sentimenti sgradevoli, ma anche essere in grado di risponderle, perché ai bambini non bisogna dire bugie». Così Carlo Barbati, uno dei membri dell’equipe di sostegno psicologico che sta seguendo la bambina di otto anni coinvolta nella tragedia familiare di Cardito, spiega l’approccio che il team partenopeo dell’Ospedale Santobono sta usando con la piccola. La bimba è ricoverata e sta guarendo velocemente dai traumi fisici, quelli che vanno trattati sono però i traumi psicologici, più profondi. Gli psicologi del Santobono chiaramente parlano con grande cautela delle sensazioni della piccola. Pochi i dettagli che emergono dalla stanza piantonata dalle forze dell’ordine e interdetta ai familiari. Emerge il superamento dello choc verbale da parte della bambina, arrivata senza parlare, e la sua richiesta di mangiare gnocchi e cotoletta: «Ora parla tantissimo – spiega Barbati – ma ogni caso è a sé. Potrebbe essere un segnale positivo, oppure indice di un cercare di rallentare l’elaborazione del trauma. Le richieste di cose buone? Sembra una richiesta di accudimento primario ma potrebbe anche essere segno di un desiderio di tornare alla normalità. Anche questo va interpretato col tempo». E il tempo che la bimba passa a parlare è tanto. Ora lo fa anche con i pm del Tribunale di Napoli Nord, alla presenza sempre degli psicologi, il cui lavoro è legato alle indagini: «In casi come questo – spiega Barbati – dobbiamo essere molto attenti, per evitare interferenze con l’incidente probatorio. Per questo l’approccio di lasciarla parlare è mirato a farle recuperare aspetti di positività, di relazione, in uno scambio aperto». Barbati non si sofferma sulle domande che fa la bambina, ma spiega che gli psicologi sono in contatto con gli investigatori anche perché «per noi è necessario saper rispondere alle sue domande – afferma – ma anche avere informazioni sulle figure di riferimento della bimba, altrimenti non possiamo muoverci». Un percorso lungo, lunghissimo: «I traumi di questo genere – spiega Barbati – sono condizioni che vengono rappresentate come delle cicatrici. Da tanti studi si è visto che alcune condizioni traumatiche lasciano anche una traccia fisica. Molto dipende da come una persona riesce ad elaborare il trauma».