Ulteriori nuovi ed importanti elementi sono emersi dagli ultimi verbali depositati dai magistrati della dda, negli atti del processo nei confronti dei fratelli Mastrominico di San Cipriano, contenenti le dichiarazioni di Nicola Schiavone, reggente del clan dei casalesi dopo l’arresto del padre Francesco, meglio noto come “Sandokan”.
L’ultimo stralcio riguarda la relazione tra Schiavone e i fratelli imprenditori Mastrominico, e il ruolo avuto da questi in alcuni grandi affari camorristici nel Casertano. Ma Michele Zagaria cercò di insediarsi di prepotenza rivendicando spazi per lui. A partire dall’utilizzo dell’ormai nota Cls di Pastorano come impianto per la fornitura di calcestruzzo. Erano proprio questi tipi di difficoltà, secondo Nicola Schiavone, ad aver spinto, in considerazione del fatto che Antonio Iovine non era in grado e non aveva la volontà di opporsi alle sortite di Michele Zagaria, i fratelli imprenditori di San Cipriano a mettersi sotto la sua ala protettrice.
Degno di nota è quanto raccontato dal pentito anche in merito alla piazza camorristica di Sant’Arpino, che suo padre, cioè Francesco Schiavone Sandokan aveva attribuito al gruppo dei Verde di Sant’Antimo. Ma secondo Schiavone jr proprio nel comune atellano c’era un funzionario “a disposizione” ed era quindi possibile allungare le mani applicando una sorta di previsione del codice degli appalti, cioè “il sistema della preventiva apertura delle buste”. Sistema di cui i Mastrominico avrebbero beneficiato.
Un ultimo passaggio dei verbali riguarda un diverbio che Schiavone ebbe con suo cugino Nicola Panaro. Quest’ultimo avrebbe voluto estromettere Raffaele Diana, detto Rafilotto, dall’affare relativo ai lavori di rifacimento del cimitero di San Cipriano. Anche questi appaltati ai Mastrominico. Una decisione che secondo Panaro sarebbe dovuta essere consequenziale all’arresto di Diana. Ma Nicola Schiavone, contrariato, avrebbe ripreso il cugino, anche alla presenza di Michele Zagaria, affermando che gli impegni presi dovevano essere sempre mantenuti. Anche quando l’altro contraente criminale veniva arrestato.