Marito, figlio e madre. Maria Debora Belardo è molto legata alla famiglia. Forse anche troppo. La preside dell’istituto comprensivo “Rocco-Cinquegrana” di Sant’Arpino si prende sempre molta cura dei parenti stretti. Ha “promosso” sua mamma, docente dell’istituto, a referente del servizio di mensa scolastica. Un incarico impegnativo, certo. Ma anche ben remunerato a fine mese. Nulla di male, per carità. Gli stipendi degli insegnanti sono da fame. E niente di illegittimo. Non il massimo sul piano dell’opportunità. Poco appropriato anche il passaggio del figlio dalla “Don Bosco” di Caserta presso il plesso santarpinese dopo il primo anno di medie. Una scelta insindacabile, ci mancherebbe altro. E alla luce dei risultati scolastici anche lungimirante. Il figlio infatti si è portato a casa, cioè in famiglia, uno straripante 10 completando con il massimo dei voti il ciclo delle medie-inferiori. Con un trampolino di lancio così non è difficile prevedere che conseguirà il diploma delle superiori aggiungendo un altro zero alla votazione delle medie. Un bel 100/100. Si vede che è un genio.
Fin qui siamo sul versante di scelte personali più o meno discutibili. L’attaccamento alla famiglia diventa morboso quando, almeno a quanto ci risulta, emergono fatti strani. Uno di questi riguarda Ciro Oliva, marito della Belardo. Il consorte della preside è di fatto il tutor del corso per il conseguimento della patente europea per l’utilizzo dei computer (Ecdl) che si tiene all’istituto “Rocco-Cinquegrana”. Sulla carta il “tutor” è il docente in pensione Alfredo Oliva. In realtà le lezioni, come potranno testimoniare anche i ragazzi, le impartisce il consorte della dirigente scolastica della scuola media. E infatti è lo stesso Ciro Oliva a tenersi in contatto tramite WhatsApp con i partecipanti al corso per aggiornamenti e orari delle attività. Non ci risulta che il progetto sia “a gratis”. Presumiamo quindi che a fine mese entrino altri soldini nelle tasche della famiglia Oliva-Belardo.
In cauda venenum, direbbero i latini. Ci spostiamo dall’informatica al mondo della moda. In classe gli alunni della scuola di prima infanzia e delle elementari devono indossare “per forza” tutti lo stesso abbigliamento consistente in una tuta da acquistare presso l’istituto. Il costo è di 20 euro. L’obbligo a indossare la “divisa” è esteso anche ai ragazzi delle medie. Le famiglie devono, sempre “per forza”, sborsare 15 euro per comprare magliette polo. Premessa: la scelta di uniformare il vestiario degli studenti è condivisibile. È insopportabile lo sfoggio di abiti griffati dei figli dei ricconi. Non tutti i genitori possono consentirsi il lusso di buttare soldi nell’acquisto di abiti prêt-à-porter.
La zona grigia che attornia la dirigente scolastica è un’altra. Ha il debito in matematica. La maggiore lacuna è in aritmetica. Non si rinvengono tracce di rendicontazione. Perché non vengono rilasciate le ricevute di pagamento al momento della consegna delle tute e delle polo? E in quale cassetto sono nascoste le fatture rilasciate dalla ditta venditrice? E ancora: come viene individuato il fornitore? Attendiamo chiarimenti con ricevute e fatture alla mano. Nel frattempo abbiamo una certezza: per la preside Maria Debora Belardo la famiglia viene prima di tutto.
Mario De Michele