8 persone sono state raggiunte da un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Gip del Tribunale di Napoli ed eseguita dalla polizia ferroviaria per la Campania, sotto la direzione e il coordinamento della Procura della Repubblica di Napoli, perché accusate di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di furti aggravati. L’attività d’indagine svolta dalla Polfer ha permesso di accertare come gli otto indagati avessero formato un gruppo stabile e organizzato, dedito al borseggio in danno dei viaggiatori, italiani e stranieri, in arrivo o in partenza dalla stazione della circumvesuviana di piazza Garibaldi. Tra di loro avevano dato vita a un vero e proprio sodalizio criminale, all’interno del quale ognuno rivestiva un ruolo perfettamente collaudato. Al vertice, con mansioni di ‘registi’, Vincenzo Trinchella e Luciano Bottone, entrambi napoletani, rispettivamente di 58 e 57 anni, adesso rinchiusi in carcere. Sono stati invece concessi gli arresti domiciliari a Ciro Barattolo, 57 anni, Mario Palumbo, 60 anni, Salvatore D’Angeli, 45 anni, Vincenzo Di Paolo, 72 anni, Nouradine Razibouine, 48 anni, e Mahadi Sidirachid, 41 anni, tutti partecipi del sodalizio con funzioni esecutive. Dalle indagini della polizia ferroviaria è emerso che il gruppo criminale rispondeva a regole ben precise. Trinchella controllava il territorio e, dopo essersi accertato dell’assenza delle forze dell’ordine, dava l’avvio all’azione delittuosa comunicando telefonicamente con i complici che accerchiavano la vittima, la derubavano del portafogli e immediatamente consegnavano la refurtiva a un altro soggetto che rivestiva la funzione di appoggio. La loro area di azione era la stazione della Circumvesuviana di piazza Garibaldi che, oltre a garantire quotidianamente una massiccia presenza di turisti e viaggiatori, per la sua conformazione strutturale consentiva ai malviventi maggiori e più facili vie di fuga. Le prede privilegiate erano proprio i turisti stranieri perché assicuravano una migliore prospettiva in termini di guadagno. Il modus operandi consisteva nel seguire la vittima fino al treno, circondarla e, mentre saliva a bordo, approfittando della ressa, distrarla dall’azione fulminea di chi con abilità da professionista gli sfilava il portafogli. Una volta sottratta la refurtiva, se le circostanze lo permettevano, il borseggiatore indietreggiava, restando sul marciapiedi alla partenza del convoglio, oppure proseguiva a bordo treno fino alla fermata successiva dove, nella maggior parte dei casi, veniva raggiunto a bordo di uno scooter da un altro complice che recuperava il maltolto e si allontanava velocemente. L’attività di indagine condotta dagli agenti della Polfer, anche con intercettazioni telefoniche e con l’ausilio di riprese video, ha permesso di cristallizzare l’attività del gruppo, operante su più fronti e con una capillare organizzazione funzionale, capace di dare vita a una fiorente attività criminosa. All’interno del sodalizio si era sviluppato un linguaggio codificato che veniva utilizzato per esprimere concetti importanti in modo immediato e breve, senza farsi comprendere dagli estranei al gruppo. Si tratta di un vero e proprio ‘idioma del borseggiatore’, con neologismi dialettali afferenti alla cosiddetta “parlèsia”, linguaggio in uso alla malavita. A titolo esemplificativo: fiorato siginificava aver portato a termine il furto, ovvero aver colto il fiore del proprio lavoro; cartoline sono le carte di credito presenti nei portafogli rubati; fiala è sinonimo di banconota da 100 euro; ‘o currente è il treno elettrico che corre; baitare è il verbo con cui si intende sorvegliare da vicino la zona e le vittime; ‘o pantofolo è il portafogli; ‘o lavoro è il furto consumato. Analogamente, con riferimento alle forze dell’ordine, gli arrestati usavano termini specifici: madama per le forze di polizia; ‘a nera per la squadra investigativa; ‘a nerissima per la squadra investigativa Polfer di cui avevano il fiato sul collo; mulignana vestuta per le guardie particolari giurate; perepeppè per i ilitari in servizio per l’Operazione Strade Sicure. E ugualmente avevano coniato dei soprannomi per alcuni poliziotti: ‘o mellone per l’agente calvo; Savastano per il poliziotto dalla forte somiglianza con un attore di Gomorra; Strimm dalla storpiatura del cognome dell’agente; uocchie stuorte per l’agente che li guardava in maniera diffidente e severa. Il rapporto tra gli otto arrestati era diventato così saldo da durare anche oltre la realizzazione dei delitti programmati e concretamente portati a termine. Tra loro si era sviluppata una sorta di ‘mutuo soccorso’ che consentiva agli associati impossibilitati a ‘lavorare’, per motivi di salute o perché detenuti, di ricevere un compenso settimanale per garantire il sostentamento della famiglia. A tal fine, dal provento dell’attività illecita veniva prelevata, da Trinchella e da Bottonme che in qualità di capi riconosciuti del sodalizio decidevano le modalità di suddivisione del bottino, una quota da destinare alla paga degli affiliati che non avevano materialmente preso parte all’azione delittuosa. Inoltre, gli associati operavano un’attenta e costante demarcazione del territorio con le sentinelle che, oltre ad indicare l’eventuale arrivo di personale delle forze di polizia, avevano il compito di segnalare anche la presenza di altri ladri esterni al gruppo. Questi ultimi, una volta individuati, venivano allontanati dal luogo di egemonia della banda che faceva ricorso anche alla violenza per far comprendere quanto fosse indesiderata ogni forma di concorrenza.