Nell’ultima puntata dell’inchiesta sullo scandalo corruttivo che ha investito il Comune di Villa Literno e sulle irregolarità riscontrate nella procedura per l’aggiudicazione del finanziamento milionario per il rifacimento della rete fognaria a Lusciano, il cui anello di congiunzione è costituito dagli imprenditori Salvatore e Franco Nicchiniello (entrambi agli arresti domiciliari), abbiamo raccontato di come la titolare delle indagini, il pm Paola Da Forno, abbia impugnato l’ordinanza del Gip del Tribunale di Napoli Nord, Antonella Terzi, e presentato istanza di Appello al Tribunale del Riesame affinché i provvedimenti cautelari siano estesi anche a molti altri soggetti convolti.

In merito all’affare da quasi 13 milioni di euro per l’impianto fognario di Lusciano vengono evidenziate le varie fasi in cui sarebbero stati commessi gli illeciti e sulla scorta di questi si sottolinea che il Gip ha accolto gran parte degli indizi di colpevolezza a carico degli indagati senza però “applicare misure cautelari di alcun tipo a carico di nessuno degli indagati della parte ‘pubblica’, ritenendo di dover applicare la misura degli arresti domiciliari soltanto alla parte ‘privata’ (Nicchiniello Salvatore e Nicchiniello Franco), limitatamente a solo alcune delle contestazioni”. Insiste il pm e contesta duramente il ridimensionamento avvenuto riguardo le responsabilità dei soggetti intervenuti. Secondo la Da Forno la “parte pubblica” ha agito in totale disinteresse del bene comune, restando concentrata esclusivamente sui propri tornaconti. A supporto di questa tesi non si può non tenere in considerazione la continua falsificazione degli atti prodotti da amministratori e funzionari, anche per aggirare l’Autorità Anticorruzione che pure era intervenuta nella faccenda. “Il Gip sostiene – ragiona il pm – che tutte le condotte poste in essere dagli indagati hanno avuto il solo fine di tenere in piedi il finanziamento. E se questo fosse vero, per quale motivo gli indagati hanno agito in tal senso? Non sembra plausibile, come sostiene il Gip, che le condotte degli indagati siano legate al raggiungimento di un fine pubblico ed anzi, della realizzazione e del fine pubblico, sembrano proprio disinteressarsene”.

Per sostenere la tesi della grave colpevolezza degli indagati, si ripercorrono per la seconda volta i vari passaggi che ci sono stati dalla partecipazione al bando milionario e tutti i ruoli che hanno avuto le figure (amministratori, tecnici e imprenditori) che hanno portato avanti l’illecito. E come elementi determinati, dei quali i Nicchiniello erano i dominus, vengono analizzati l’inizio dei lavori, la successiva sospensione per una variante del progetto, la ripresa fittizia e la ‘fasizzazione’ del progetto: pratiche messe in atto per rispettare ‘i paletti’ imposti dal bando e per mettere all’incasso la prima tranche di fondi emessi dalla Regione Campania. “Scusa un poco, se gli accordi sono accordi, altrimenti che facciamo, facciamo i ..devo dire le pazzielle per le creature!?” Questa sarebbe l’intercettazione di Nicchiniello che secondo il pm confermerebbe che tutto il sistema era fin dal primo momento ben organizzato e finalizzato all’ottenimento dei fondi pubblici. Altra prova dell’accordo illecito sarebbe la fattura presentata dall’imprenditore “magicamente” corrispondente a quanto previsto dal SAL (Stato di Avanzamento dei Lavori), nonostante ci fosse l’incongruenza con i lavori effettivamente messi in opera. E in tutto questo, come già ampiamente trattato nelle varie puntate dell’inchiesta, non è di secondo piano la figura del Rup Anastasia Russo, che oltre all’indennità per il ruolo ricoperto punta anche all’incarico a tempo indeterminato al Comune.

“L’accordo corruttivo, dunque – spiega la Da Forno – si sostanzia proprio in questo: in fase esecutiva sono tutti consapevoli della non fattibilità del progetto, sia la parte pubblica che quella privata, e ciascuna ha bisogno dell’altra, nel corso di tutta la vicenda, per poter garantirsi le proprie utilità”.

Luigi Viglione
(continua…)

 

 

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