Tre settimane fa, il tweet di Roberto Bolle sui clochard accampati sotto i portici del teatro San Carlo. Oggi, l’sos di un negoziante che segnala come la sua attività – proprio di fronte all’ingresso del teatro – venga messa in pericolo dalla presenza di homeless a pochi metri di distanza.
Nello stesso giorno in cui una donna senza fissa dimora partorisce, sola e sul marciapiede, in una strada del centro antico, si riaccendono i riflettori a Napoli sul dramma dei clochard e sugli effetti della loro presenza. Antonio Esposito gestisce da anni un negozio di prodotti alimentari tipici, di fronte al San Carlo. Da alcuni giorni il locale è semivuoto. “Motivo – spiega – una scia di odore nauseabondo creata dalla presenza di un clochard subito dietro l’angolo”, ossia a pochi metri dall’ingresso della galleria Umberto I. Mentre Esposito parla, alcuni turisti passano, girano al largo e si portano il fazzoletto al naso. L’uomo, probabilmente sofferente psichico, vive in condizioni igieniche difficili da descrivere ma evidenti a chiunque si avvicini. “Sono disperato. Non mi si accusi di razzismo – dice Esposito – perché farei tutto ciò che posso per aiutare chi è in difficoltà. Ma è assurdo che un’attività economica rischia di finire in ginocchio per l’assenza di servizi e strutture sociali che affrontino l’emergenza clochard nel modo giusto, invece di lasciare queste persone abbandonate a se stesse danneggiando l’immagine di luoghi-simbolo della città”. Esposito è tra i commercianti più conosciuti della zona, anche per il suo impegno a favore della riqualificazione del territorio. Ha fondato con altri esercenti una associazione per l’accoglienza del turismo, e anni fa è stato il primo a offrire nel suo locale toilette gratuite per fronteggiare l’assenza di servizi igienici pubblici in quello che vorrebbe essere un “salotto buono” della città.