L’ombra nera che si allunga su Fuorigrotta è in una manciata di numeri: due morti ammazzati, un ferito grave e una lunga serie di raid – stese e attentati incendiari compresi – e sette cosche (anche se sarebbe più giusto chiamarle bande) che si contendono un quartiere di poco più di sei chilometri quadrati con 72mila abitanti. Non si può prescindere da questa premessa se si vogliono cercare le ragioni di questa impennata di violenza scatenata – questo spiegano le informative di polizia giudiziaria – dal riposizionamento delle alleanze criminali e, pare, dall’offensiva lanciata dal clan Licciardi sulla zona occidentale della città. Bene avevano visto i magistrati della Procura antimafia di Napoli quando, nel firmare un decreto di fermo a carico del figlio del boss Vitale Troncone, avevano parlato di rischi legati ad un’escalation di violenza e anche della possibilità di nuovi colpi di coda con il rischio legato a nuovi agguati anche eclatanti. L’esecuzione di Salvatore Capone nella notte di Capodanno ne è la conferma. E siccome sangue chiama sangue, c’è da credere che le cose non finiscano qui, e che i residenti di Fuorigrotta siano costretti a vivere nuovi giorni di paura. Per come si è messa, la situazione è molto dinamica, con tutta l’imprevedibilità che le dinamiche di camorra impongono.
Ma come si è arrivati a far riesplodere la polveriera Fuorigrotta? Per capirlo bisogna tornare alla scorsa primavera. È a marzo che si cominciano a registrare le prime fibrillazioni di camorra: si comincia con l’uccisione in via Leopardi di Antonio Volpe, 77enne pregiudicato considerato un uomo di rispetto dai delinquenti della zona. È solo la scintilla che dà fuoco alle polveri: arrivano altri raid, altri morti e feriti. A scatenare questa apocalisse c’è probabilmente un disegno espansionistico che parte da molto più lontano: dalle basi dell’intramontabile clan Licciardi di Secondigliano: il quale, sfruttando i suoi ottimi rapporti con le famiglie camorristiche di Bagnoli, lancia la sua offensiva contro quelli che finora hanno comandato a Fuorigrotta. La posta in gioco è alta, ghiotto il boccone. Sul tavolo ci sono soldi, tanti soldi, una montagna: quelli dello spaccio di stupefacenti (nell’area occidentale c’ anche quel Rione Traiano che ha soppiantato e sostituito Secondigliano e Scampia come primo supermarket della droga in mezzo Meridione d’Italia); non tralasciamo un particolare: i Licciardi sono in grado di gestire anche il mercato internazionale dei broker che trattano affari di cocaina e che trattano direttamente con i narcos centro e sudamericani. Non solo droga. Perché poi c’è la grande fetta di torta legata al racket. La tradizionale vocazione commerciale di Fuorigrotta diventa il miele per le mosche della criminalità organizzata. E nel quartiere non c’è negoziante che non sia costretto a pagare. Un sistema ferreo, sul quale negli ultimi anni aveva allungato le mani quel Vitale Troncone scampato alla morte durante l’agguato dell’antivigilia di Natale. Procediamo con ordine. Perché prima di arrivare a dicembre altro sangue era stato fatto scorrere in questo delirante, tragico botta e risposta degli agguati. L’11 novembre i killer entrano in azione in via Caio Duilio – roccaforte dei Troncone – per uccidere un 30enne incensurato: si chiamava Andrea Merolla, ed era – particolare di non poco conto – figlio di una sorella dello stesso Vitale Troncone. Siamo ormai al culmine dell’odio che si scatena e finisce anche per confluire nei rivoli neri delle vendette trasversali. A questo punto i margini per una trattativa capace di pacificare le opposte sponde non esistono più. Adesso è tempo di far parlare le armi. Tutto è probabilmente cominciato a causa di alcune intemperanze da parte delle giovani leve di camorra affiliate ai Troncone: violenti e determinati, pronti a tutto, come dimostrano durante una violenta aggressione a due soggetti, uno dei quali, a causa dei colpi inferti con il calcio di una pistola, ha riportato danni permanenti al cervello. Si arriva così al 23 dicembre a quello che sarà il più diretto colpo al cuore al gruppo dei Troncone: i sicari tentano di far fuori proprio il boss, Vitale Troncone, ma la vittima miracolosamente – sebbene ferita al volto – scampa miracolosamente alla morte. Poi, l’ultimo assalto nel Rione Lauro, all’ultimo dell’anno. In quella notte mezza Fuorigrotta non ha illuminato nemmeno il fuoco di mezzo bengala, pare in segno di devozione e rispetto a Vitale Troncone le cui condizioni restano serie. Ma al Rione Lauro, a sparare col piombo, ci hanno pensato i sicari.