La paura degli aghi. Una fobia che lo portava a rifiutare anche un semplice prelievo e a mettere a nudo la sua fragilità emotiva. E poi le convinzioni maturate in questi due anni, complice i consigli di qualche amico e le fake news lette su facebook, lo avevano convinto a non vaccinarsi e a dubitare finanche della pandemia. È stato questo, secondo i familiari, ad uccidere Peppe Avagliano, l’imbianchino 56enne di Cava de’ Tirreni morto per covid il giorno della Befana nel reparto di terapia intensiva del Ruggi di Salerno. Peppone, Peppe Bocchicchio come era conosciuto dai suoi amici, era uno sportivo, un appassionato di calcio che conduceva una vita sana. «Aveva un sorriso per tutti – racconta la cognata – una persona buona, sempre disponibile con tutti che nascondeva una grande fragilità. Sembrava un gigante, ma in verità era molto fragile, aveva paura anche di un semplice prelievo, per fare un accertamento bisognava smuovere mari e monti». Il giorno di Santo Stefano sono comparsi i primi sintomi: febbre, tosse e dolori. Peppe e la sua famiglia restano chiusi in casa, ma non fanno ancora il tampone. Con l’aiuto della cognata cercano di contattare il medico di famiglia, ma non hanno risposta. Le sue condizioni peggiorano. Il giorno di Capodanno decidono di chiedere l’intervento dell’ambulanza della Croce Rossa. «L’ambulanza doveva arrivare alle 20, ma alle 21.30 ci chiamano, dicendoci che hanno subito un’aggressione e non possono venire. Abbiamo cercato di chiamare il 118 più volte. Solo alle 23 arriva l’ambulanza da Salerno che porta Peppe al pronto soccorso di Cava perché non ci sono posti». Peppe ha bisogno di ossigeno, i sanitari iniziano le terapie e per lui inizia un incubo. «Tutta la realtà che aveva sempre negato gli è piombata addosso ed è uscita fuori tutta la sua fragilità». Aghi per le flebo, ossigeno, l’ipotesi di dover essere intubato ed ancora le frasi sul vaccino che non aveva fatto. Tutto questo lo avrebbero spinto a rifiutare ogni cura. Peppe si strappa la flebo e la maschera e scappa dal pronto soccorso. Gli infermieri lo rincorrono. Nonostante il respiro flebile e le forze ormai ridotte al lumicino, cerca di arrivare a casa. Ma all’altezza del Mattatoio sviene. I familiari, avvertiti dai sanitari, cercano di raggiungerlo. Nel frattempo un finanziere in servizio lo vede accasciato al suolo e con modi persuadenti e gentili lo convince a farsi accompagnare in ospedale, al Santa Maria dell’Olmo: «Volevo solo tornare a casa. Volevo morire a casa», avrebbe detto ai finanzieri. Solo alle 11 del giorno dopo viene trasferito al Ruggi, dove si è liberato un posto. Peppe è sedato ed intubato. Dopo pochi giorni di agonia, giovedì il suo cuore cessa di lottare. «Le sue fobie per gli aghi, qualsiasi tipo di terapia lo hanno portato a rifiutare i vaccini e le cure e per questo è morto. Il suo essere così fragile lo ha portato ad essere troppo vulnerabile contro questo mostro invisibile». Tanti gli amici che lo hanno voluto salutare lasciando un messaggio sul suo profilo facebook. «Sarai sulla coscienza di chi ti ha convinto che era una semplice influenza». E ancora: «Abbiamo vissuto tante avventure insieme – racconta un amico – Non vivo più a Cava, ma sono tornato per le vacanze e ci siamo incontrati. Abbiamo parlato del Covid e lui aveva una posizione molto scettica riguardo al virus ed ai vaccini». L’ultimo saluto ieri mattina: «Dovunque si trova starà sorridendo. Devi darci la forza di andare avanti».