Sono saliti insieme in auto in una proprietà di famiglia, lo avrebbe tramortito con un colpo alla testa per poi dargli fuoco e fuggire a piedi. Domenico, però, è stato arso vivo e prima di morire ha respirato il fumo. Un omicidio premeditato, per riscuotere una cospicua polizza vita che gli aveva fatto firmare un anno fa e di cui era l’unico beneficiario, prima di fuggire all’estero dove lo attendeva la fidanzata asiatica. È stato arrestato ieri mattina, nella sua abitazione di Sant’Antonio Abate, Antonio Martone, 36 anni, marittimo, accusato di omicidio premeditato e pluriaggravato del fratello Domenico, 33 anni, lavoratore stagionale da qualche anno residente ad Angri insieme ai genitori. Per due settimane, i carabinieri della compagnia di Castellammare di Stabia hanno condotto le indagini senza sosta, eseguendo ieri mattina il decreto di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura di Torre Annunziata (procuratore Nunzio Fragliasso, sostituti Emilio Prisco e Bianca Maria Colangelo) che ha coordinato tutte le attività. Tra le aggravanti contestate ci sono il vincolo di stretta parentela e quella della crudeltà. Perché Antonio avrebbe dato fuoco al corpo del fratello mentre era ancora in vita, seppur privo di sensi, per incassare circa 300mila euro. Antonio e Domenico come Caino e Abele. È questa l’agghiacciante ipotesi degli inquirenti, sull’insolito e inquietante delitto avvenuto il 30 marzo scorso sotto la tettoia in un fondo agricolo ai piedi delle colline di Lettere, a due passi dal centro abitato di Sant’Antonio Abate. Un omicidio che inizialmente sembrava inspiegabile, proprio perché Domenico era un bravo ragazzo, non aveva problemi con nessuno, di carattere introverso, ma mai litigioso. Si dava da fare in casa, aiutava il papà a curare l’orto e lavorava da stagionale in alcune aziende conserviere della zona. Insomma, non aveva nemici né particolari problemi.
Le indagini, dunque, si sono concentrate sulla vita privata del giovane e sul contesto familiare. Lì è arrivata la svolta, anche grazie ad alcuni filmati delle telecamere di videosorveglianza pubbliche e private presenti in zona, che hanno ripreso l’arrivo dei due fratelli Martone in auto assieme nella zona di via San Paolo, strada sterrata che termina proprio nel fondo agricolo. Qualche minuto dopo, le stesse telecamere hanno ripreso prima il fumo che cominciava ad alzarsi dal luogo del delitto e poi Antonio Martone scendere a piedi, in gran fretta, dalla proprietà di famiglia. I residenti della zona, notando il fumo, hanno allertato i vigili del fuoco che, giunti sul posto, si sono resi conto che le fiamme avevano avvolto il corpo di un uomo, ormai privo di vita. Il rogo è stato domato e sono stati chiamati ad intervenire anche i carabinieri della compagnia di Castellammare di Stabia, che hanno avviato le indagini. Sul posto era parcheggiata l’auto con la quale erano arrivati nel fondo agricolo i due fratelli. All’interno dell’abitacolo è stata ritrovata la copia del green-pass che ha permesso di dare un’identità alla vittima. La successiva autopsia ha permesso di ricostruire con esattezza anche la dinamica del fatto: Domenico è stato bruciato quando era ancora vivo, perché nei polmoni erano presenti i fumi di combustione. Era privo di sensi, perché non ha tentato di reagire, ma respirava ancora. Una morte atroce. Sul movente, per gli inquirenti non ci sono dubbi, anche se Antonio Martone potrà difendersi domani durante l’interrogatorio per la convalida del fermo, spiegando la sua versione dei fatti. Nel frattempo, trascorrerà le prime notti nel carcere di Poggioreale, con la pesantissima accusa di aver orgnizzato ed eseguito il terribile omicidio del fratello Domenico per questioni economiche. Sì, perché con la morte di Domenico, Antonio avrebbe incassato circa 300mila euro di premio assicurativo. Una polizza vita che l’uomo aveva firmato lo scorso anno, proprio su consiglio di Antonio, che aveva reso unico beneficiario. Quei soldi, secondo l’accusa, sarebbero serviti per rifarsi una vita in Asia, dove vive la fidanzata del presunto assassino. Pericolo di fuga che ha spinto gli inquirenti a chiudere rapidamente le indagini e fermare l’unico sospetto.