Se sulle modalità dell’omicidio la Procura di Salerno, retta dal procuratore capo Giuseppe Borrelli, sembra non avere dubbi; sulla storia di Marzia Capezzuti ci sarebbero ancora troppe ombre. Su alcune di queste accende una luce anche il gip Alfonso Scermino nella sua ordinanza facendo nomi e cognomi di persone che sapevano e che solo su sollecitazione dei carabinieri hanno raccontato episodi di vita della ventinovenne milanese e dei suoi aguzzini, Barbara Vacchiano e il marito Damiano Noschese da qualche giorno rinchiusi nel carcere di Fuorni mentre il figlio quindicenne della coppia è presso l’istituto minorile di Nisida con la pesante accusa di concorso in omicidio. Maltrattata, vessata e torturata dalla donna e dal marito la ragazza non avrebbe però subito violenze sessuali all’interno del nucleo familiare. Un particolare sul quale si sofferma anche il gip in quanto non ci sarebbero prove certe. Marzia sarebbe però stata fatta dormire nello sgabuzzino di quella abitazione in via Verdi a Pontecagnano che aveva ben tre camere da letto. Ed è stata picchiata e denutrita nonostante, con la sua pensione di quasi 800 euro, contribuisse alle spese di casa: non era libera neanche di acquistare un pacchetto di sigarette. Una delle ombre che cala sulla storia della 29enne riguarderebbe proprio l’assistenza. Il caso di Marzia sarebbe stato all’attenzione dei servizi sociali del Comune di Pontecagnano. La ragazza, dopo alcune segnalazioni, aveva parlato con gli assistenti sociali, era anche stata accompagnata in ospedale per una visita e per capire se subiva violenze. Il Comune di Pontecagnano avrebbe anche segnalato il caso a quello di Milano dove la ragazza era ancora ufficialmente residente ma non avrebbe mai avuto alcuna risposta. Almeno questo ha dichiarato ad ottobre scorso il sindaco ora uscente, Giuseppe Lanzara, in una intervista a Il Mattino. Ma, se la burocrazia ostacola la presa in carico di un giovane milanese con problematiche psicologiche certificate, la stessa burocrazia dovrebbe invece aiutare la presa in carico dell’intera famiglia Vacchiano-Noschese. Il quindicenne ora in istituto minorile, aveva dei precedenti anche quando – a soli 14 anni – è stato coinvolto nell’omicidio di Marzia dalla madre. Era in una comunità dell’Agro ma tornava a casa con dei permessi. Un iter simile a quello del fratellastro più grande, Vito Vacchiano, che all’epoca delle torture su Marzia era ai domiciliari, anche lui dopo una adolescenza trascorsa entrando ed uscendo dalle comunità. E, sempre in quella casa, c’era anche un altro minorenne, oggi di sette anni affidato dopo l’arresto del genitori ad una Casa Famiglia. Loro tre sono di Pontecagnano ma, di fatto, non sarebbero stati seguiti dai servizi sociali. C’è poi la famiglia di Marzia che entra in scena soltanto dopo che i carabinieri notificano al padre la presunta scomparsa della figlia. Loro non la sentivano da tempo se non quando lei stessa chiamava dal cellulare di Barbara Vacchiano. E, se le telefonate si erano intensificate, e questo si legge nero su bianco sulle carte dell’inchiesta, era soltanto perché c’era un problema con il conto corrente di Marzia, dopo l’assorbimento dell’istituto presso il quale era accreditata la pensione di invalidità da parte di un’altra banca, e Barbara Vacchiano voleva aprirle un nuovo conto alle Poste. Per fare ciò, occorreva la documentazione Inps che certificava il deficit della 29enne, e in possesso del padre. Di qui anche le menzogne sull’inesistente fidanzato Beppe, su una presunta gravidanza. Nonostante tutto, però, la famiglia è sempre stata assente nella vita della ragazza disabile. Forse per la sua scelta di seguire Alessandro Vacchiano a Pontecagnano nonostante il parere contrario della madre.