di Mario De Michele

Non può continuare a fare sempre l’incudine Franco Matacena. Ogni tanto il sindaco di Aversa deve impugnare il martello, magari non quello di Thor perché non ha il fisico, ma almeno quello da scalpellino. Non è nemmeno Hulk il primo cittadino, ma se è necessario deve diventare verde e mostrare i muscoli, altrimenti dà corpo alle accuse dell’opposizione di essere “ostaggio” della maggioranza. Nell’assise di ieri il volto di Matacena era rosso Tiziano, a riprova del suo imbarazzo, presto sfociato in debolezza. Sull’incremento di fondi, da lui stesso proposto, da destinare al suo staff, o ufficio di gabinetto che dir si voglia, di 18mila euro per quest’anno e di 110mila euro all’anno per il 2025 e il 2026 il primo cittadino ha battuto in ritirata. Qualcuno l’ha definita una ritirata strategica, in realtà è una resa incondizionata ai voleri di una parte della sua coalizione. Di fronte al diktat di Aversa Moderata e di Forza Azzurra, che hanno genericamente posto il tema della mancata condivisione, il timoniere dell’amministrazione ha alzato bandiera bianca, presentando lui stesso un emendamento per dirottare i 18mila euro su scuole e verde pubblico e per cancellare con un tratto di penna i 110mila euro annui per il biennio 2024-2025. Matacena vs Matacena. Il sindaco come l’orologio dell’Annunziata. Ma il tempo dei compromessi ad ogni costo, in nome della vittoria alle comunali, è ormai un ricordo lontano. Risale alla fase pre-elettorale, quando l’allora candidato sindaco ha imbarcato un po’ di tutto: comandanti in prima e in seconda, primi ufficiali di coperta e di macchina, primo medico e primo medico aggiunto. Tutti ufficiali (sulla carta), nessun marinaio, molti mozzi. Ognuno con la pretesa di indicare la rotta con la minaccia sottesa dell’ammutinamento. E così, invece di sfoggiare la divisa da capitano della nave, Matacena ha indossato la tunica del cappellano, cedendo il timone ai suoi alleati. Ma la barca della cosiddetta coalizione civica ha mostrato da subito le prime preoccupanti crepe. Sulla scelta degli assessori, fatto salvo per Mariano D’Amore, il primo cittadino si è limitato a un ruolo notarile. Ha firmato i decreti anche a persone che non avrebbe mai inserito nell’esecutivo. Ha subito passivamente le scelte dei leader dei movimenti che lo hanno appoggiato. Inutile e deleterio il tira e molla durato quasi un mese. Alla fine ha detto: “Obbedisco”. Stesso copione ieri in consiglio comunale. Matacena ha temuto di “andare sotto” sulla variazione di bilancio sullo staff. E ha fatto miseramente dietrofront. Il compianto Peppe Sagliocco o Lello Ferrara, per citare due ex sindaci, avrebbero sradicato il tavolo di presidenza scagliandolo contro i riottosi. E poi si sarebbero dimessi seduta stante in caso di voto contrario. Matacena invece si è autosfiduciato, in perfetto stile Tafazzi. È vero, ha preannunciato che la sua proposta sarà contenuta nel prossimo bilancio di previsione. Vedremo. Intanto resta una figuraccia. Nel frattempo c’è stata un’altra conferma dell’incapacità della fascia tricolore di essere un leader, di affermare la forza delle sue idee, di battersi fino alla morte per difendere le sue proposte. Insomma, Matacena deve decidere se vuole essere martello o chiodo.

Adesso andiamo nel merito del “casus belli” senza scivolare nel torrente del populismo. Che il sindaco di Aversa abbia bisogno di un addetto stampa, scelto “intuitu personae”, è fuori discussione. Anzi è il minimo. Che il primo cittadino ritenga opportuno formare un ufficio di gabinetto è sacrosanto, se serve davvero. Il punto nero è un altro: i costi. Spendere 110mila euro all’anno è sicuramente eccessivo, per non dire folle. La cifra va fortemente ricalibrata, altrimenti si ha la netta sensazione che Matacena voglia far rientrare dalla finestra quelli a lui più prossimi che non hanno varcato il portone della giunta per lo stop degli alleati. Una sorta di assessori di ritorno. Secondo aspetto. L’opposizione ha proposto di destinare i 110mila euro annui ai lavoratori socialmente utili. Che ne pensa Matacena? E quali sono le politiche della maggioranza per gli lsu e contro la precarizzazione in generale? Ecco, torniamo al coraggio delle scelte. L’ecumenismo è roba da cappellano. Il primo dovere di un sindaco è decidere da che parte stare, perché, come direbbe il filosofo, “ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è ciò che diventi”.

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