Non era tagliato per essere al comando di una nave, per reggere l’impatto con le situazioni di emergenza e, soprattutto, per proteggere – anche adesso che non e’ piu’ in plancia – l’incolumita’ di qualunque persona si affidi alla sua responsabilita’, e non solo per andare in mare aperto.

Questo il giudizio della Cassazione sul comandante Francesco Schettino, l’ufficiale della compagnia Costa che la sera del 13 gennaio ha portato i 4000 passeggeri della nave Concordia al naufragio sugli scogli del Giglio provocando 32 morti. Un disonore per la marineria italiana macchiata dall’onta di un comandante che non ha rispettato l’obbligo che gli impone di lasciare la nave solo quando tutti si sono messi in salvo. Per ora la Suprema Corte non lascia spazio all’insinuazione della difesa di Schettino sul fatto che il comandante sia stato ‘usato’ dalla Costa che gli avrebbe addossato colpe non sue. Scrivono i supremi giudici (sentenza 18851 depositata oggi e relativa all’udienza del 10 aprile) che Schettino – per il quale si conferma il rischio di reiterazione del reato e di inquinamento delle prove – ha ”scarsa resistenza” nello svolgimento ”di funzioni di comando o comunque di responsabile della sorte di persone a lui affidate”. L’uomo, insomma, non e’, e non era, in grado di ”reggere situazioni di crisi e assicurare, in quelle situazioni, l’adempimento delle obbligazioni di sicurezza e garanzia verso le persone a lui affidate”. La sua ”insufficienza strutturale”, scrive la Cassazione, e’ stata ”verificata”. Ed e’ a tutto campo: per questo a nulla e’ valsa l’assicurazione del suo legale, Bruno Leporatti, che ”sarebbe inverosimile” ipotizzare che un altro armatore possa affidare all’ ufficiale sorrentino il comando di un’altra nave. Schettino deve rimanere agli arresti domiciliari, insiste la Suprema Corte, ”in funzione di salvaguardia della collettivita”’. Ed e’ corretta, per i supremi giudici, la decisione del gip, e poi del Tribunale del riesame che, lo scorso sei febbraio, ha convalidato gli arresti domiciliari dicendo no alla richiesta della Procura che chiedeva il carcere in quanto – spiega la Cassazione – la reclusione in casa e’ ”adeguata” al ”contenimento cautelare”.

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