Nasce il governo di Jean-Marc Ayrault, il primo della presidenza di Francois Hollande, e la sorpresa del giorno è un’assenza: Martine Aubry, segretario del partito socialista, ha sbattuto la porta e non ha accettato la poltrona della Cultura. Fabius,
un boss dell’apparato di partito che votò no al referendum sulla Costituzione europea, è agli Esteri. L’ex fedelissimo di Strauss Kahn Pierre Moscovici all’Economia. Ha sudato sette camicie il nuovo presidente socialista per varare la formazione che dovrà guidare la transizione fino alle legislative del 10-17 giugno e che se la sinistra confermerà la vittoria delle presidenziali sarà confermata. A scompaginare i disegni è stata proprio Martine Aubry, ormai incompatibile con Hollande. Fra lei, 62 anni, figlia di Jacques Delors, tre volte ministro e numero 2 del governo di Lionel Jospin, e Hollande, non è mai corso buon sangue. Da quando Martine ha capito che Francois sognava di essere lui l’erede di Delors.
La loro antipatia dura da 30 anni ed è esplosa nel 2007, quando Hollande rifiutò di cedere a lei, da sempre sindaco di Lille, una circoscrizione proprio su quel territorio. La Aubry non gliel’ha mai perdonata, ha rincarato le critiche alla gestione del partito socialista da parte di Hollande, di cui lei aveva raccolto l’eredità. Poi, le primarie dello scorso autunno, quando pubblicamente lei accusò Hollande di rappresentare la “gauche molle”. Martine Aubry ha perso la corsa alla candidatura all’Eliseo, poi è stata messa da parte a favore di Ayrault per la poltrona di primo ministro, infine anche il superministero della Cultura più Educazione è sfumato per una sfuriata di Peillon, che si prepara da anni a riformare la scuola.
Spazientita, stamattina è risalita in auto ed è partita per Lille infilandosi rabbuiata in auto: “Abbiamo convenuto che in questa configurazione, il posto dove sono più utile è alla testa del partito”. Il governo risulta senz’altro più malleabile di quanto non sarebbe stato con la presenza della “dame delle 35 ore”, quasi tutti i ministri importanti sono di stretta osservanza socialista, Manuel Valls agli Interni è l’alfiere dell’ala destra, Arnaud Montebourg al Rilancio produttivo è il rappresentante degli “antagonisti”, che alle primarie predicava la “demondializzazione”. Rappresentati in modo importante gli strausskahniani, con il premio a Pierre Moscovici (Economia) per la fedeltà in campagna elettorale a Hollande, finiscono in cassaforte anche i vecchi fabiusiani, con il Quai d’Orsay all’uomo che rappresentò più di tutti il ‘no’ vincente della sinistra alla Costituzione europea. Sono rimasti fuori, per accontentare questi e quelli, molti fedelissimi di Hollande.
Gli uomini del presidente, però, non dormono sonni tranquilli. L’ombra lunga di Martine Aubry, che ha in mano il partito, si allunga sul futuro della compagine di governo appena nata e sulle legislative, anche se lei ha assicurato che condurrà fedelmente quella decisiva battaglia. E il malumore di chi è stato tagliato fuori (“Francois ha preferito qualche traditore a chi è stato al suo fianco”, ha protestato un hollandista rimasto a bocca asciutta) rischia di accendere la mischia ancora prima di aver portato a casa la maggioranza in Parlamento.