Basta mediazioni e trattative. Mario Monti sceglie la linea dura con Berlino: entro lunedì, quando riapriranno i mercati, l’Europa deve dotarsi di un meccanismo anti-spread che tuteli i Paesi virtuosi o l’intera costruzione dell’euro rischia di crollare. E per far capire che non scherza si dice pronto a trattare a oltranza al tavolo europeo pur di ottenere questo risultato.
Parole pesantissime che il premier accompagna con un appello al Parlamento: in questo “difficilissimo negoziato” il governo ha bisogno del pieno appoggio delle forze politiche. Per il presidente del Consiglio è un’altra giornata intensissima. Dopo aver presieduto un lungo Cdm, riceve il Cavaliere, Angelino Alfano e Gianni Letta (in serata incontra Bersani, mentre il colloquio con Casini ci sarà al rientro da Bruxelles). Illustra loro la posizione che intende tenere al summit di Bruxelles, compresa la proposta di usare il fondo salva-Stati per abbassare la febbre dello spread pur precisando, come rivelerà poi Berlusconi, che una proposta scritta in merito ancora non c’é. Forse per questo l’ex premier, con i suoi deputati, definisce di una “indeterminatezza assoluta” la strategia dell’Esecutivo. Anche se a palazzo Chigi rassicura il Professore: capiamo la delicatezza del momento e non faremo mancare il nostro appoggio. Perché, spiegherà ai suoi, una crisi ora sarebbe “catastrofica”. Visione ‘sposata’ da Bersani che però non manca di criticare il Pdl che non vuole “approvare un documento comune sul tema europeo: sono in gioco interessi nazionali e non è il momento di scartare”, dice il segretario del Pd. Monti si reca quindi alla Camera. Incontra Gianfranco Fini per una ventina di minuti. Il presidente della Camera, forse non a caso, si lamenterà poi con il Pdl per la mancata mozione unitaria a sostegno della missione europea del professore. Poco dopo varca la soglia dell’Aula. Ascolta gli interventi: sia Franco Frattini (Pdl) che Enrico Letta lo invitano ad “alzare la voce” in Europa, arrivando a suggerire l’arma del veto. Lui raccoglie la sfida e rilancia, abbandonando la strategia della cautela con Berlino che finora aveva caratterizzato il suo negoziato in Europa. Dopo aver invitato il Parlamento a sostenere il governo in un negoziato “difficilissimo”, punzecchia ripetutamente la Germania di Angela Merkel: prima ricordando che tutti i governi hanno Parlamenti e Corti Costituzionali a cui dover rendere conto; poi bacchettando il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, reo di “aver capito male” la proposta italiana per contenere lo spread; infine ribadendo che il pacchetto crescita da 120 miliardi e un rafforzamento dell’Unione politica e monetaria sono condizioni “necessarie, ma non sufficienti” per l’Italia. Tolti i sassolini dalle scarpe, spiega cosa chiederà ai partner Ue. Per la prima volta conferma pubblicamente che il piano italiano prevede l’utilizzo del fondo salva-Stati (Esfs-Esm) per impedire eccessive “divaricazioni” fra titoli di stato dei paesi che hanno i conti in ordine (e cioé – almeno secondo il resoconto di Berlusconi – l’Italia, ma non la Spagna) e il bund tedesco. Replica elegantemente a Berlusconi, spiegando che ha parlato “giustamente” di indeterminatezza visto che il negoziato è “aperto”. Il finale è un vero e proprio ultimatum: dice di non voler “apporre un visto formale a documenti pre-preparati” e che, al contrario, è pronto a dare battaglia arrivando a bloccare i lavori del Vertice con una trattativa ad oltranza che consenta all’Europa di uscire rafforzata da un “pacchetto per la crescita, da una visione per il futuro”, ma soprattutto “da meccanismi soddisfacenti per reggere alle tensioni del mercato”. Perché, ammonisce, “non possiamo permetterci che questa straordinaria opera della costruzione europea possa andare distrutta”. Parole che danno il senso dell’urgenza e che confermano i timori del governo per la riapertura delle Borse: “Se non mandiamo un segnale forte ai mercati rischiamo un lunedì davvero nero”, conferma una fonte ministeriale. Ma che alzano anche l’asticella dei risultati da portare a casa, anche perché la risposta di Berlino non si fa attendere: Frau Merkel arriva a dire che finché sarà in vita non ci sarà alcuna condivisione del debito. A Bruxelles si annuncia davvero uno show down.