Sono fuggite dalla Russia due musiciste della punk band Pussy Riot ricercate dalla polizia per la ‘preghiera anti Putin’ inscenata lo scorso febbraio nella cattedrale di Mosca.

Lo ha reso noto su Twitter lo stesso gruppo, senza precisare di quale paese si tratta ma annunciando che entrambe ”stanno reclutando femministe straniere per preparare nuove azioni”. Piotr Verzilov, esponente del gruppo artistico d’avanguardia ‘Voina” e marito di Nadia Tolokonnikova, la piu’ giovane e forse la piu’ carismatica delle tre Pussy Riot gia’ condannate nei giorni scorsi a due anni di galera, ha confermato che le fuggitive avevano partecipato alla ‘preghiera punk’ nella basilica del Cristo Salvatore. ”Si trovano in un posto sicuro, fuori dalla portata della polizia russa”, ha spiegato, lasciando intendere che si trovano in un Paese che non ha accordi di estradizione con la Russia. ”Bisogna ricordare pero’ che nel Paese ci sono ancora 12 o 14 membri che partecipano attivamente all’attivita’ della band, e’ un grande collettivo”, ha aggiunto.

La pena a due anni ha sollevato critiche pesanti in Occidente, dove le tre Pussy Riot hanno ricevuto sostegno tra l’altro da numerose star della musica, da Sting a Madonna, da Paul McCartney a Yoko Ono, diventando la nuova icona della protesta anti Putin. La sentenza e’ stata condannata anche dall’opposizione russa, nonche’ dal consiglio presidenziale per i diritti umani. ”Questo processo penale solleva interrogativi sull’osservanza dei principi di una giustizia equa in uno stato democratico di diritto”, hanno osservato nei giorni scorsi i consiglieri del Cremlino. ”Per esempio, perche’ le imputate hanno dovuto ascoltare la lettura della sentenza in manette per varie ore? Perche’ tutte e tre le imputate hanno avuto la stessa pena anche se due di loro sono madri di bambini piccoli? Perche’ le imputate non hanno avuto una sospensione della pena o almeno un differimento finche’ i bambini non avessero raggiunto la maggiore eta’?” hanno chiesto i consiglieri di Putin, per i quali si tratta di una ”pena piu’ severa di quella per blasfemia secondo le leggi dell’impero russo”.

Come a dire che sotto lo zar la giustizia sarebbe stata piu’ tenera. Ma il nuovo zar di oggi, tornato al Cremlino per la terza volta, sembra sempre piu’ sordo alla clemenza e alle domande di cambiamento della parte piu’ avanzata della societa’, in particolare quando mettono in discussione il suo potere e l’alleanza di ferro con la chiesa ortodossa. Anche a costo di veder compromessa l’immagine del Paese all’estero e di trasformare delle ragazze prima sconosciute in martiri simbolo della protesta. Una protesta che promette di rialzare la testa il 15 settembre, con le prime manifestazioni di massa di un autunno che si annuncia ‘caldo’.

 

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