Si sapeva che l’umanità di Ciprì, anche senza Maresco, sarebbe stata piena di personaggi brutti sporchi e cattivi (con qualche eccezione per dare ancora più contrasto), ma questa volta nel film ‘E’ stato il figliò, in concorso alla 69/a edizione della Mostra del cinema di Venezia

– dove stamane alla prima stampa è stato accolto da applausi – la cattiveria, specie nel finale, fa davvero paura. Anche perché ricorda il nostro presente come l’attualità della tragedia. A brillare fino al parossismo, oltre al protagonista, Toni Servillo, c’é anche tutto il cast di questo film pieno di maschere grottesche segnate dalla loro povertà e da quella del quartiere palermitano in cui si svolge la storia negli anni Settanta. Tutto inizia con la camminata volgare e ignorante di Nicola Ciraulo (Servillo), evocato da Busu (Alfredo Castro), uno che alle poste di Palermo racconta, proprio come la voce narrante della tragedia greca, storie per chi le vuole ascoltare. Ciraulo é soltanto un poveraccio. Uno che vive, come un parassita, smembrando parti metalliche di navi dismesse. Il suo è un lavoro sporco, come lo sono i suoi compagni e la sua stessa famiglia. Insieme a lui vivono infatti la segaligna moglie Loredana (Giselda Volodi), Tancredi (Fabrizio Falco), figlio ventenne tanto buono quanto inetto, la piccola Serenella, carattere ribelle da maschiaccio, e i genitori di Nicola. Ovvero nonno Fonzio (Benedetto Raneli), che vive in simbiosi con un ventilatore, e nonna Rosa (Aurora Quattrocchi), silenziosa, ma dura quanto occorre. Insomma una famiglia che non se la passa troppo bene fino a quando, in uno scontro di mafia, viene uccisa per sbaglio la piccola Serenella.

 

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