Le leggi sul finanziamento dei partiti sono sempre state fatte in Italia sull’onda di scandali: dal cosiddetto ‘scandalo petroli’ che nel 1974 spinse a introdurre il finanziamento pubblico, a Lusi: l’onda di quest’ultima vicenda ha indotto il Parlamento a dimezzare i fondi pubblici, facendo scendere i finanziamenti da 182 milioni a 91. L’odierna proposta di Berlusconi di ripensare la formula del finanziamento avviene non a caso dopo il Lazio-gate.

Nel febbraio 1974 la magistratura di Genova aprì un’inchiesta contro esponenti politici della maggioranza (Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli) accusati di prendere tangenti da Enel e petrolieri in cambio di leggi contrarie all’energia nucleare. In poche settimane fu varata una legge che introduceva il finanziamento pubblico dei partiti, che avrebbe dovuto moralizzare la vita politica, evitando la ricerca di tangenti. Il finanziamento era erogato sulla base dei risultati delle elezioni politiche. Nel 1981 una nuova legge stabilì che ulteriori fondi sarebbero arrivati in occasioni delle elezioni Regionali ed Europee. La legge del 1974 resistette ad un referendum abrogativo nel 1978, ma non ad un secondo promosso dai Radicali nel 1993 in pieno clima di “Tangentopoli”. Vinsero i sì con il 90,25%. Ma l’escamotage fu di trasformare i finanziamenti in rimborsi elettorali. La legge del 1993 stabilì che la somma da ripartire in proporzione ai voti presi, fosse ricavata moltiplicando il numero dei cittadini iscritti all’anagrafe per 1.600 lire. Nel 1999 le somme crebbero vertiginosamente: 4.000 lire per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali. Tutto moltiplicato per quattro Fondi: Senato, Camera, Europee e Regionali. Non paghi, i partiti nel 2002 portarono a 5 euro per ogni cittadino la consistenza di ciascuno dei quattro Fondi. Nel “milleproroghe” del governo Berlusconi del 2005, venne stabilito che i soldi dei quattro Fondi (erogati ai partiti in 5 rate annuali) proseguivano anche se la legislatura era interrotta anticipatamente. Infatti i rimborsi delle elezioni del 2006 proseguirono fino al 2011, anche se si è tornati alle urne nel 2008. Ed è così avvenuto che partiti non più esistenti, come Margherita, Ds, Forza Italia e An, continuassero a ricevere contributi statali. Con il Governo Prodi si inverte la tendenza: la finanziaria del 2007 taglia di 20 milioni ciascuno dei quattro Fondi (circa 10%). La manovra Tremonti del 2010 compie un’altra sforbiciata del 10%, seguita da un identico taglio con la manovra del luglio 2011, in piena crisi-spread. Inoltre è stata cancellata la norma del 2006 che faceva proseguire i finanziamenti in caso di fine anticipata della legislatura. Lo scandalo Lusi ha spinto le Camere a varare a luglio una nuova legge che ha portato al dimezzamento del contributo pubblico. Annualmente il finanziamento dello Stato ai partiti passa da 182.349.705 di euro a 91 milioni. Le Camere hanno pure tagliato la rata che avrebbero dovuto ricevere a luglio per il 2012, destinandola ai terremotati dell’Emilia. In più sono state stabilite norme di trasparenza e rendicontazione nonché l’obbligo di certificazione esterna dei bilanci.

 

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